Previsioni meteo: siamo passati dal Pojana al ‘downburst’
Dal Pojana al Downburst, com’e cambiata la meteorologia
Alessandro Cammarano
Che il clima sia cambiato – e stia drammaticamente cambiando – è sotto gli occhi di tutti, con buona pace dei negazionisti da baretto.
Basta uscire di casa, fare due passi e vedere con i propri occhi tetti distrutti, parabrezza sfondati, automobili bombardate, alberi caduti per rendersi conto che anche la grandine non è più quella di una volta.
Per “cambiamenti climatici” si intendono i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Questi cambiamenti possono avvenire in maniera naturale, ad esempio tramite variazioni del ciclo solare. Tuttavia, a partire dal 19° secolo, le attività umane sono state il fattore principale all’origine dei cambiamenti climatici, imputabili essenzialmente alla combustione di combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas.
Molte persone pensano che i cambiamenti climatici significhino essenzialmente temperature più elevate. Tuttavia, l’innalzamento della temperatura è solo l’inizio della storia. La Terra è un sistema in cui tutto è collegato e, pertanto, i cambiamenti in una zona possono influenzare i cambiamenti in tutte le altre seguendo il famoso “Effetto Farfalla”.
Attualmente fra le conseguenze dei cambiamenti climatici figurano siccità intense, scarsità d’acqua, incendi gravi, innalzamento dei livelli del mare, inondazioni, scioglimento dei ghiacci polari, tempeste catastrofiche e riduzione della biodiversità. Ciò che sta succedendo in queste ore nel nostro paese ne è plastica rappresentazione, lo si voglia o no.
Tuttavia, anche nella drammaticità della situazione – o meglio delle situazioni – ci sono elementi che portano a far sorridere, ovviamente nella forma e non nella sostanza che resta comunque tragica, mettendo ancora una volta in luce un certo qual provincialismo non solo dell’italiano medio ma anche e soprattutto di certa stampa che si crogiola nell’uso di terminologia tecnica che diventa ridicola in bocca a persone che maneggiano stentatamente il congiuntivo.
Una volta in Veneto ci si accontentava del “Pojana”, ovvero del celeberrimo Almanacco Meteognostico Vicentino, che da 1832 è presente in moltissime case non solo della provincia ma espande i suoi confini a tutto il Veneto.
Fasi lunari, previsioni meteo, le date delle fiere e qualche consiglio per una vita più serena: il bello, più che in edicola, è comprarlo dal vecchietto che lo propone al pubblico nei mercati berici e non solo al grido di “Lunario novo! El Pojana Majore!” e che richiama alla memoria il venditore di almanacchi di leopardiana memoria.
Come Leopardi immagina, nelle Operette morali il “Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere”, noi assai più modestamente ci dedicheremo a comparare il dialogo sul tempo – una volta si chiamava così – tra due vecchiotti un giovedì mattina al mercato di Piazza dei Signori sessant’anni fa e oggi.
Nel 1967 Bepi e Toni, settantenni, uno pensionato delle ferrovie e l’altro ex operaio, incontrandosi per un’ombra e un paninetto con la sopressa, dopo aver esaurito i convenevoli avrebbero fatto virare la conversazione sugli ultimi accadimenti meteorologici.
“Ciò Toni, i me ga dito che ga tempestà a Lumignan, un disastro, tuti i bisi distruti”, al che Toni avrebbe replicato “El colonelo Bernacca g’aveva avisà che i milibar i era drio a sbasarse e che el tempo cambiava”.
“Milibar? – rincalzava Bepi – mi go i cali ai píe che i xera drio coparme dal male da do giorni. Se Bernaca me ciamava gheo disevo mi”.
Il termine “tempesta” era una specie di jolly omnicomprensivo, un termine buono per definire qualsiasi termine definisca un evento atmosferico avverso – grandine, rovescio, acquazzone, temporale – e rendeva comunque perfettamente, e un po’ pure poeticamente, l’idea del fenomeno.
Già i millibar di Bernacca e Baroni a “Che tempo fa” sembravano in qualche maniera “trasgresssivi” e oggi sono superati dalla più aggiornata unità di misura della pressione atmosferica che va sotto il nome di ettopascal.
Due anziani che, sempre il giovedì e sempre a piazza dei Signori, questa volta però con spritz e tartina, si incontrassero al tempo presente, commentando – stavolta in italiano – i recenti accadimenti atmosferici parlerebbero più o meno così:
“Giuseppe, che cosa ne pensi del downburst in Trentino nei giorni scorsi?”, “Guarda Antonio, roba da pazzi, ma non peggio della water bomb su Milano di ieri notte o del tornado in Brianza. Dove andremo a finire”.
La conversazione proseguirebbe con dotte discettazioni infarcite di termini pseudoinglesi sui quali a questo punto dobbiamo fare chiarezza.
La famigerata “bomba d’acqua” non esiste, o meglio esiste ma si chiama semplicemente “nubifragio”, mentre il termine in voga è stato inventato dai giornali, o meglio dai telegiornali, perché è più “dramatic”.
“Tornado” è il nome spagnolo, e poi americano, che identifica la “tromba d’aria”, ma “tornado” fa più figo.
Diverso è il discorso per “downburst” o “raffica discendente”, che è termine scientifico e descrive un fenomeno capace di distruggere in brevissimo tempo intere foreste: basti ricorda Vaia e i suoi effetti; certo però che evocarlo anche quando una folata rovescia il vaso con le ortensie di zia Orminda allora si parla di “downburst ad cazzum”.
Il problema e vero e reale: l’intensità dei fenomeni atmosferici e aumentata e di molto, la grandine è passata da acini d’uva passa ad angurie, i temporali sono davvero nubifragi, le temperature medie sono schizzate verso l’alto e… sì il clima è cambiato in molto peggio e per colpa nostra.
Però usiamo i giusti termini e soprattutto facciamolo a ragion veduta, vero Toni?