Protestare per il cambiamento climatico è legittimo. Ma cosa c’entra la Gioconda?
Domenica scorso si è perpetrato l’ennesimo sfregio ad un’opera d’arte universalmente conosciuta, e farne le spese è stata ancora una volta la “Monna Lisa” di Leonardo da Vinci, forse più nota come “La Gioconda”, un ritratto che fa bella mostra di sé nel Museo del Louvre a Parigi.
Non è la prima, e sicuramente non sarà l’ultima volta che dovremo assistere ad “imprese” di questo tipo.
E così dopo la zuppa di piselli e quella di pomodoro sui dipinti di Van Gogh , domenica scorsa gli attivisti verdi hanno lanciato la zuppa – apparentemente butternut – in faccia alla Monna Lisa.
Questa volta ad agire sono stati gli attivisti del collettivo “food Response”, che hanno giustificato la loro azione con il desiderio di promuovere “il diritto ad un’alimentazione sana e sostenibile ”. E quindi il lancio della zuppa è stato presentato come “il calcio d’inizio di una campagna di resistenza civile, che porta con sé una richiesta chiara, vantaggiosa per tutti: sicurezza sociale per un’alimentazione sostenibile”.
Come dicevo, ormai imbrattare opere d’arte è diventata una sorta di moda, e fra le vittime illustri possiamo ricordare fra gli altri Monet, Van Gogh, Constable, Boccioni, Vermeer, Goya, Leonardo.
Nemmeno il Veneto è stato immune da queste forme estreme di protesta; e immagino ricordiate che il 21 agosto 2022 alcuni attivisti di Ultima Generazione si erano incatenati alla Cappella degli Scrovegni di Padova per protestare contro lo spreco di acqua, i cambiamenti climatici e le politiche mondiali troppo poco green (fortunatamente nessun danno è stato registrato ai capolavori di Giotto).
In generale ad essere presi di mira sono capolavori della storia dell’arte, custoditi in musei o esposti in mostre temporanee, imbrattati da giovani militanti (i gruppi sono Just Stop Oil, Extinction Rebellion, e la sua “divisione” italiana Ultima generazione).
Si tratta di un movimento trasversale, europeo, fatto di “paladini” schierati per l’ambientalismo e l’ecologia.
Quindi i fini dichiarati sono senz’altro nobili, ed anche condivisibili, ma quello che mi rende perplesso è che questi ragazzi protagonisti delle azioni dimostrative hanno trovato una forma alquanto insolita e sicuramente controversa per sensibilizzare sul tema, e protestare contro l’immobilismo dei Governi.
E così non stupisce che qualsiasi persona equilibrata finisca per chiedersi che senso abbia imbrattare (o, quantomeno, cercare di farlo), deturpare, danneggiare, le tele dove i geni della pittura hanno steso le loro inimitabili pennellate.
In altre parole: in che modo violare un Van Gogh, un Monet o un Leonardo, dovrebbe far riflettere gli altri sulla necessità di difendere il pianeta e tutelare gli ecosistemi?
A giudicare da certe reazioni questo dubbio è legittimo.
E lo abbiamo visto di fronte a certi blocchi stradali attuati dagli ecologisti (di solito sedendosi a terra) con gli automobilisti bloccati in lunghe code, che esasperati hanno finito per insultarli, strappando loro gli striscioni, ed in qualche caso anche cercando di trascinarli via con modi piuttosto decisi.
Il punto sta tutto qui, nell’inventarsi forme di protesta (legittima per carità) capaci di destare interesse, e coinvolgere i cittadini, senza per questo impedire a chi debba andare in ospedale, a lavorare, o semplicemente a fare ciò che vuole, di farlo senza intoppi.
Il dibattito sul tema è sicuramente aperto.
Ed è vero che ormai i Musei hanno capito l’antifona, e proteggono le opere d’arte con vetri antisfondamento, ed è altrettanto vero che gli attivisti hanno ribadito in ogni occasione, di non avere la reale intenzione di danneggiare i quadri o le opere d’arte, ma solo di sensibilizzare il pubblico.
Ma mi chiedo: non li sfiora il sospetto che così facendo si attirano le critiche e la mancanza di solidarietà di quanti non vorrebbero che i capolavori dell’arte mondiale fossero vilipesi?
Può essere infatti vero che creare un disagio possa rappresentare lo strumento attraverso il quale si sensibilizza e si genera dibattito, ma quando si tenta di deturpare la bellezza di un dipinto, secondo una prassi che rasenta il vandalismo, non si può certo sperare di attirarsi simpatie od applausi.
La domanda più frequente che pongono questi attivisti dell’ecologismo è questa: dobbiamo chiederci se l’arte valga più della vita?
E’ chiaro che la loro risposta è che “Non ce ne faremo nulla dell’arte e dei capolavori su un pianeta che brucia. Servirà a poco la bellezza quando non avremo né acqua né cibo”.
Lo so bene che non si tratta di allarmi campati in aria, ma sono le modalità delle proteste che per me sono inaccettabili.
E per quanto mi riguarda ricordo sempre una frase di Carl Jung che diceva che “l’arte è ciò che ci salverà dalla barbarie”.
Se così non fosse dovremmo accettare che le “ragioni” dei talebani hanno giustificato la distruzione a cannonate delle statue dei Buddha di Bamiyan, oppure quelle dell’Isis la devastazione della città di Palmira.
Quindi, per ritornare alla questione di fondo posta da queste azioni, io credo che la domanda “L’arte o la vita?” sia inopportuna, e soprattutto mal posta.
Come sempre avviene quando si tira troppo la corda si provocano le reazioni dei Governi.
Ed è quindi comprensibile che il Governo della Nazione che da sola custodisce la maggior parte delle opere d’arte del mondo abbia deciso di correre ai ripari.
E così, di fronte ai sempre maggiori atti vandalici, pochi giorni fa, il 18 gennaio 2024, il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva una nuova legge che inasprisce le sanzioni contro “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui” prevedendo la pena della reclusione da due a cinque anni, e di una multa compresa tra i 20mila ed i 60mila euro”.
Ma come sempre succede nel Belpaese, la politica si è divisa, con la maggioranza ovviamente a favore dell’inasprimento delle pene, e le opposizioni che parlano di “mosse sicuritarie che restringono la libertà di dissenso e manifestazione” (sic!).
Si tratterà come al solito di capire come la Magistratura giudicante valuterà eventuali violazioni delle nuove norme.
Concludendo, io capisco le ragioni etiche che spingono questi giovani a protestare, ma non posso prescindere dalla realtà; e la realtà ci dice che igrandi inquinatoridel mondo sono Cina e India, e che l’ Europa e l’Italia contribuiscono alle emissioni rispettivamente per l’8 e l’1%.
Quindi l’Italia con il suo 1% non è certo il primo Paese inquinatore, e non si può chiudere gli occhi di fronte al fatto che la Cina da sola produce più CO2 di Stati Uniti, Europa, India e Russia sommate assieme.
E paradossalmente se andiamo a penalizzare le industrie europee, inevitabilmente finiamo per favorire le aziende cinesi che inquinano di più.
Quindi la domanda finale è: perché questi gruppi di protesta, questi attivisti del clima, non vanno a protestare a Pechino o a Shanghai, magari imbrattando qualche opera dell’arte cinese?
Immagino perché preferiscono agire in società democratiche, che comunque garantiscono loro la libertà di dissenso, piuttosto che in Cina, dove quasi sicuramente verrebbero loro malgrado inviati a svolgere un’attività “fortemente ecologica”: un bel piccone in mano a scavare strade o miniere in Tibet!!!.
Umberto Baldo