Putin come Stalin, elimina Navalny l’ultimo vero dissidente
Umberto Baldo
Ieri, quando le Agenzie di Stampa internazionali hanno cominciato a battere la notizia, e la stessa è rimbalzata milioni e milioni di volte sui nostri smartphone, la mia prima impressione è stata quella di aver ricevuto una secchiata d’acqua gelata addosso.
E a dirvi tutta la verità il mio primo pensiero è che a volte anche uno schiaffo, o appunto una secchiata d’acqua, servono per farci tornare sulla terra, per mostrarci le cose come sono e non come certa stampa, certi politici, certa narrazione interessata e faziosa, vogliono farci credere.
Credo abbiate capito che la notizia arrivata dalla Russia era quella relativa alla morte di Evgeniy Navalny, il 47enne che nell’ultimo decennio era diventato l’unico vero oppositore di Vladimir Putin.
Ed il mio pensiero è immediatamente riandato a quelle foto di Matteo Salvini sulla Piazza Rossa con il pollice alzato mentre indossa una t-shirt con l’effige dello “zio Vladimir”.
Mi sarei aspettato dalla Lega qualcosa di più che questa dichiarazione, poi aggiustata, dell’on. Andrea Crippa, Vice Segretario del Partito; “Aspettiamo che si faccia luce, non additiamo responsabili finché non ci saranno prove oggettive“.
Che dice on. Crippa? Aspettiamo che il Cremlino ci dica che Navalny è morto di freddo?
Perché poco importa se la sua fine sia avvenuta per cause naturali, durante una passeggiata in un luogo di pena dove all’ora presunta del decesso la temperatura esterna era 31 gradi sottozero; perché le vere cause sono altre.
Navalny era il detenuto più importante del mondo, seguito dall’intera comunità internazionale.
Spettava al Cremlino prendersene particolare cura.
Invece, dopo condanne con motivazioni risibili, gli è stata imposta una vera e propria via crucis, fino all’approdo estremo in quella Siberia, che anche nella sua madre patria ha un forte valore simbolico, di punizione definitiva, di un luogo dal quale non si torna più indietro, se non piegati in modo irrimediabile nel fisico e nella mente.
Infine, la via crucis ha avuto la sua conclusione più logica, come ben sapeva anche “nonno Stalin” che in Siberia spediva coloro di cui voleva liberarsi.
E non ci si vengano a dire che si è trattato di un caso!
Troppo lungo l’ elenco dei “casi”! Troppo lunga la scia di sangue!
A cominciare dalla morte della deputata di opposizione Galina, Starovoitova uccisa nel novembre 1998 nel suo appartamento a San Pietroburgo (5 mesi prima Vladimir Putin era stato nominato capo degli 007 da Boris Eltzin). Poi successe ad Anna Politkovskaya, assassinata a Mosca con quattro colpi di pistola nell’ascensore della sua casa nell’ottobre 2006. Ma già sei anni prima altri giornalisti “scomodi” erano morti misteriosamente: Igor Domnikov, Sergey Novikov, Iskandar Khatloni, Sergey Ivanov e Adam Tepsurgayev.
Ma il 2006, anno della morte dellaPolitkovskaya, vide altre morti sospette: quelle di Andrei Kozlov e di Alexander Litvinenko, ex spia del Kgb ucciso con del polonio nel tè in un hotel di Londra e morto dopo atroci sofferenze.
Kozlov, primo vicepresidente della Banca centrale russa viene ucciso a Mosca. Anche lui come Klebninkov indagava sul riciclaggio di denaro. Tre anni dopo, nel 2009, morirono Stanslav Markelov, avvocato che si batteva per i diritti umani, Anastasia Barburova, giovane studentessa in giornalismo (amica della Politkovskaya) e Natalia Estemirova, giornalista e attivista di diritti umani, rapita e uccisa a Grozny.
L’elenco potrebbe continuare tanto è lunga la cronologia, ma almeno per oggi ci fermiamo all’ultima infamia, la morte di Navalny, che a mio avviso dovrebbe rappresentare la fine di ogni illusione, interessata o meno.
I putiniani di casa nostra, ovunque siano, i teorici dell’appeasement, dovrebbero realizzare il fatto che la Russia ormai è lontana, che al Cremlino non tengono in alcun conto la nostra opinione e la nostra diplomazia, benevola od ostile che sia.
Ed è triste constatare che 140 milioni di russi sostengono un macellaio che lanciamissili su Kherson, assedia Mariupol, lancia droni su Dnipro, attacca obiettivi civili a Kiev e ad Odessa, nasconde fosse comuni a Bucha, impone lo stato di polizia in Crimea, tortura in Donbas, va a braccetto con il leader della Corea del Nord e con gli Ayatollah che impiccano le ragazze senza velo.
Ciò fa obiettivamente sospettare che la Russia di Putin sia, se possibile, anche peggio di Putin, perché culturalmente è ancora quella imperialista degli zar e dei sovietici, e su questo concentrato di fascismo messianico e suprematista Putin ha indottrinato ed addestrato le nuove generazioni del suo paese.
State attenti alle narrazioni che verranno subito proposte da certi ambienti.
Ve le dico in anticipo; Navalny non era un liberale accademico, un democratico all’occidentale, da borghesia moscovita.
Aveva una fibra nazionalista e anche populista, tanto che da avvocato, dopo gli esordi sulla scena pubblica, fu espulso dal partito liberale Yabloko per le sue posizioni estreme,e in seguitò si segnalò per l’approvazione dell’attacco contro la Georgia del 2008, e dell’invasione della Crimea nel 2014.
Ma poi aveva concentrato la sua azione politica nella denuncia e nella lotta alla corruzione, e per questo aveva un suo seguito fra i russi.
Di conseguenza, messo nelle condizioni di competere, avrebbe potuto veramente sfidare Putin alle elezioni, e lo “zar” non poteva lasciare in vita chi incarnava l’unica realistica alternativa al blocco autoritario del Cremlino.
Io credo che la tempra, ed anche la forza d’animo di Navalny si sua palesata quando dopo l’avvelenamento e le cure in Germania era voluto tornare in Russia, sapendo di andare incontro al carcere (e ad una morte purtroppo più che probabile) perché voleva combattere per la libertà in Russia, non stando comodamente seduto in un salotto europeo o americano, o in uno di quei talk show occidentali o italiani in cui si fiancheggia Vladimir Vladimirovich Putin.
Navalny era, in fondo, un grande giornalista investigativo (dire un “blogger” suonerebbe parziale e riduttivo) ,ma era ovviamente molto più di un giornalista, o di un politico, o di un attivista: è stato qualcuno che per anni ha svelato, spesso per primo, la corruzione del Cremlino, gli schemi offshore opachi e le ruberie della casta di Putin, fossero oligarchi o siloviki, gli uomini dei servizi russi.
Qualcosa di assai peggiore per Putin, che essere attaccato sui diritti (di cui se ne frega) o sulla mancanza di democrazia (che fa poca presa, in Russia).
I russi erano invece sensibili alle inchieste di Navalny, che mostravano come Putin e i suoi attaccassero l’Occidente, mantenendo poi in quello stesso Occidente (e spessissimo in Italia) conti, barche, ville e case, spesso frutto di ruberie.
Non va dimenticato che la sua inchiesta sul Palazzo di Putin sul mar Nero ha battuto in Russia ogni record di visualizzazioni.
Noi spesso abusiamo del termine “Eroe”, ma credo che in questo momento nessuno più di Navalny meriti il titolo di “Eroe”, nel senso “classico” del termine.
C’è solo da sperare che le sue inchieste, la sua opposizione al Cremlino, ed il livello impareggiabile di testimonianza di coraggio e libertà, non muoiano con lui.
Umberto Baldo