Quell’azzardo di Giorgia Meloni sulla Consulta
Umberto Baldo
Non so se vi siate resi conto fino in fondo dello “strappo” tentato di recente della maggioranza per eleggere un componente della Corte Costituzionale.
Intendiamoci, da sempre i partiti di governo, e non solo quelli ovviamente, cercano di “piazzare” alla Consulta giuristi considerati, se non “amici”, almeno “di area”.
Se non che i Costituenti, che sicuramente vedevano lontano, hanno fissato per l’elezione dei Giudici Costituzionali una maggioranza parlamentare (tre quinti) superiore a quella necessaria per eleggere il Presidente della Repubblica, con l’intento palese di obbligare le forze politiche ad un accordo, data la valenza di tale ruolo.
Non intendo certo farvi una lezione di Diritto Costituzionale, ma forse è utile qualche richiamo a volo d’uccello per capire meglio la problematica.
Innanzi tutto, cos’é la Corte Costituzionale?
La Corte Costituzionale rappresenta il massimo organo di garanzia e di controllo sul rispetto e la compatibilità dei principi contenuti nella Carta, non solo con le norme, ma anche con i comportamenti tenuti dalle Istituzioni. In base all’ art 134 della Costituzione infatti, la Corte giudica sulla legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge emanati dallo Stato e dalle Regioni. È competente poi anche nel dirimere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni. Inoltre si esprime nel caso in cui il Parlamento riunito in seduta comune metta in stato d’accusa il presidente della Repubblica:
A questo elenco infine si aggiungono anche il giudizio sull’ammissibilità dei referendum abrogativi e sulla legittimità degli statuti delle Regioni a statuto ordinario.
Qual’è la sua composizione?
In base all’art. 135 Cost. la Corte è composta da 15 giudici.
Un terzo dei quali è scelto dal Presidente della Repubblica, un altro terzo è eletto dal Parlamento in seduta comune (a maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea per i primi 3 scrutini e dei tre quinti a partire dal quarto). I 5 mancanti sono eletti dai più alti gradi della Magistratura, sia ordinaria che amministrativa. In particolare 3 giudici sono scelti dalla Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato, ed uno dalla Corte dei Conti.
Capite bene che ogni giudice eletto porta con sé non solo la propria cultura giuridica, ma anche le proprie convinzioni politiche, ed ecco perché i Partiti tendono a voler imporre nomi di persone ideologicamente affini.
Ma l’idea prevalente è che, una volta eletto, per i 9 anni del mandato un Giudice debba dismettere le proprie idee politiche, per porsi al di sopra delle parti (cosa a mio avviso non facile).
Non è un problema solo italiano.
Ricorderete le polemiche che sono seguite alla nomina (già perché negli Usa i Giudici della Corte Suprema sono nominati a vita dal Presidente) di alcuni giudici dichiaratamente repubblicani e conservatori da parte di Donald Trump.
Come pure abbiamo visto, in Polonia e nell’Ungheria di Orbán, le Corti Costituzionali poste sotto il diretto controllo del Governo in carica.
Tornando allo “strappo”, è evidente che l’errore commesso da Giorgia Meloni non sta certo nella proposta di un candidato di parte (questo è sempre accaduto, e Marini è fra l’altro il Consigliere giuridico della premier), ma nel tentativo di eleggerlo senza cercare una condivisione con le opposizioni.
Ed il fallimento dell’operazione, in conseguenza anche dell’ “Aventino” deciso da Schlein e compagni, ne ha amplificato la portata.
Ne deriva che la prassi corretta sarebbe stata che i Capigruppo della maggioranza avrebbero dovuto riunirsi con i colleghi delle opposizioni per illustrare la figura e le competenze giuridiche del candidato Francesco Saverio Marini, nel tentativo di raggiungere i tre quinti dei voti.
Ripeto che se la Costituzione prevede un quorum così alto, addirittura più alto di quello previsto per la elezione del capo dello Stato, ci sarà una ragione.
E questa va cercata nella necessità di una decisione partecipata, di una condivisione sulla idoneità del giurista, non la tentata spartizione delle caselle a disposizione.
Perché è nella logica della nostra democrazia che la Corte Costituzionale non possa e non debba essere lottizzata.
La Consulta non è la Rai dove un conduttore come Bruno Vespa anni fa ebbe a dichiarare che lui rispondeva all’azionista di maggioranza, all’epoca la Democrazia Cristiana.
Se un giudice costituzionale rendesse conto al partito che ce l’ha messo, ciò comporterebbe la totale delegittimazione della Consulta, e quindi una ferita per la democrazia.
Ma perché Giorgia Meloni, politica di lungo corso che conosce tutte le regole ed i trucchi parlamentari, ha voluto dar vita ad una “prova di forza”, inevitabilmente miseramente fallita?
Perché la Corte sarà chiamata nei prossimi mesi ad esprimersi su questioni di importanza “capitale per la maggioranza dei “Patrioti”.
Prima del 12 novembre infatti la Consulta è chiamata a decidere sul ricorso in via diretta delle Regioni di centrosinistra contro la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata (e non è una questione da poco, anche se a mio avviso, trattandosi di una legge di attuazione della Costituzione in vigore, la Corte dovrebbe stabilire che non ci si sono problemi di legittimità)
Ma soprattutto a gennaio i giudici della Corte Costituzionale saranno chiamati a valutare l’ammissibilità di quesiti referendari sui quali l’opposizione (ad eccezione di quelli sul Jobs act) si è compattata.
Per chi non lo ricordasse si tratta di sette i referendum che hanno superato le 500mila firme previste dalla legge. Due contro l’autonomia differenziata, uno sulla legge sulla cittadinanza (dimezzati da 10 a 5 gli anni di residenza in Italia richiesti agli stranieri maggiorenni che chiedono la cittadinanza), quattro per cancellare la riforma del Jobs act, o quel che ne resta.
Concludendo, quello che per me è preoccupante in generale, è che la “cultura costituzionale” si stia via via affievolendo nella classe politica e nel Paese, in un momento in cui sarebbe necessario avere idee ferme e chiare.
Se ci pensate, negli ultimi anni da un lato abbiamo assistito all’intervento della Corte con decisioni su temi bioetici come il suicidio assistito od il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, dall’altro lato la Politica ha mostrato la sua totale incapacità a regolarli, traccheggiando e così disattendendo le indicazioni della Consulta.
Si tratta di un chiaro segnale di malessere, che comporta il rischio che le decisioni della Corte, adottate su temi eticamente divisivi, non vengano accettate dalla classe politica, portata a dire: “ma questi che vogliono? Tocca a noi decidere”.
Ed è proprio in ossequio ad un presunto e pericoloso “primato della politica” che si sono mossi gli Orbàn ed i Trump, plasmando e sottomettendo le rispettive “Corti costituzionali”.
Direi che non si tratta di esempi da imitare.
Umberto Baldo
PS: È molto probabile che l’impasse si sbloccherà a dicembre, quando scadrà il mandato di altri tre giudici (Barbera, Modugno e Prosperetti). Con quattro posti disponibili vedrete che “l’uno a te ed uno a me funzionerà”.
Roba da “basso impero”!