6 Febbraio 2025 - 9.33

Sanremo 2025, il vecchio che avanza

di Alessandro Cammarano

Ci siamo! E ancora non si sa se sia un bene o un male; in ogni caso il Festival di Sanremo – quest’anno alla sua edizione numero settantacinque e primo dopo la direzione artistica senza dubbio – e al netto di qualche scivolone – innovativa targata Amadeus, prenderà il via il prossimo 11 febbraio per concludersi la sera del quindici.

La kermesse rivierasca si preannuncia come un evento che, nonostante ripetuti annunci di “rinnovamento”, sembra ripiegare su scelte conservative e decisamente poco innovative. 

La direzione artistica di Carlo Conti, già al timone del Festival nelle edizioni 2015, 2016 e 2017, appare orientata verso un ritorno al passato, privilegiando nomi noti e dinamiche consolidate, a discapito di una vera apertura verso la novità e la sperimentazione, che poi è ciò che un festival sarebbe chiamato a fare.

Il sentore di stantio appare impietosamente evidente al solo scorrere la lista dei partecipanti alla categoria “Big”, nella quale si evidenzia una forte presenza di artisti già affermati almeno da mezzo secolo nel panorama musicale italiano; tra questi spiccano nomi come Massimo Ranieri, che porterà il brano “Tra le mani un cuore”, e Marcella Bella con “Pelle diamante” o ancora i redivivi Modà con “Non ti dimentico”. 

La loro partecipazione, se da un lato garantisce una certa qualità interpretativa, dall’altro sottolinea una tendenza a riproporre figure storiche, limitando lo spazio per artisti emergenti.

Allo stesso tempo, la presenza di giovani artisti legati al genere trap solleva non poche polemiche. 

Achille Lauro, con la canzone “Incoscienti giovani”, Fedez con “Battito”, e soprattutto Tony Effe con “Damme ‘na mano” sono tra i nomi più discussi; la loro partecipazione suscita dibattiti non solo per lo stile musicale, ma anche per i messaggi spesso controversi – a voler usare un eufemismo – veicolati nei loro testi. Emis Killa, inizialmente in gara con il brano “Demoni”, ha annunciato il suo ritiro a seguito di un’inchiesta giudiziaria che lo vede coinvolto, alimentando ulteriormente le discussioni sulla scelta degli artisti. 
Poi ci sono i “soliti”, ovvero Irama, Rkomi, Gabbani, The Kolors, ovvero tutta quella fascia di valore artistico “intermedio” ma capace di stuzzicare gli appetiti non solo musicali di un pubblico variegato e che nella musica cerca un superficiale disimpegno intellettuale.

Conti, con la sua scelta di escludere canzoni di impegno sociale, preferendo invece testi in cui si parli di “famiglia” – quella “tradizionale”, ben inteso – e “sole, cuore, amore”, ha di fatto ignorato la galassia della musica Indie che pure avrebbe molto da dire.

E proprio a partire da queste esclusioni volute e cercate si sono mosse, a ragione, critiche sull’evidente concentrazione della scrittura e produzione dei brani, che risulta saldamente nelle mani di un ristretto gruppo di autori. 

A indagare un po’ e a fare due conti si scopre che undici autori firmano quasi il 70% delle canzoni in gara. 

Federica Abbate, ad esempio, è coautrice di sette brani, tra cui quelli di Clara, Rose Villain, Serena Brancale, Sarah Toscano, Fedez, Emis Killa e Joan Thiele. Davide Simonetta, invece, ha contribuito a cinque canzoni, interpretate da Francesco Gabbani, Rocco Hunt, Achille Lauro, Elodie e Francesca Michielin.  

Questa situazione ha portato il Codacons a presentare un esposto all’Antitrust, denunciando una sorta di “casta discografica” che potrebbe influenzare negativamente la qualità della musica e penalizzare altri artisti. 

L’associazione sottolinea come tale concentrazione possa limitare la diversità creativa e impedire a nuovi talenti di emergere.  

Una domanda poi sorge spontanea: ma davvero ci vogliono sei o sette persone per scrivere tre minuti di musica? 

Inoltre, la scelta di Carlo Conti come direttore artistico e conduttore principale, affiancato da co-conduttori come Antonella Clerici, Gerry Scotti, Bianca Balti e Nino Frassica, tra gli altri, sembra rafforzare l’idea di un Festival ancorato a formule già collaudate e, sebbene questi nomi garantiscano professionalità e appeal mediatico, la loro presenza non rappresenta una vera rottura con il passato né un’apertura verso nuove prospettive.  

Il Festival di Sanremo 2025 appare dunque come un evento che, pur cercando – sulla carta – di bilanciare tradizione e modernità, rischia di rimanere intrappolato in logiche conservative ove non addirittura oscurantiste, sollevando interrogativi sulla reale volontà di innovare e promuovere una maggiore diversità artistica. 

Sarebbe auspicabile che future edizioni del Festival adottassero un approccio più inclusivo e coraggioso, offrendo spazio a una più ampia gamma di talenti e sperimentazioni musicali; tutto questo, ovviamente resterà nell’ambito dei sogni.
Intanto un gesto di “rottura” vera sarebbe quello di ripescare i Jalisse al posto di Emis Killa: magari vincono pure.

VIACQUA

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