4 Marzo 2021 - 15.54

SANREMO – Mini critiche velenose su tutti i big e i giovani in gara

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di Alessandro Cammarano

La platea dell’Ariston piena di palloncini al posto delle usuali babbione, dei “manager” con abbronzatura Raku e le stelline in cerca di visibilità; i due attempati signori chiamati a condurre questa edizione parecchio “sui generis”, condizionata dall’emergenza e sottoposta a critiche feroci venute da più parti, fanno quello che possono anche se in più di un momento la mancanza la mancanza del pubblico si fa sentire. Accontentiamoci.

Certo che i numeri sono impietosi: ascolti tutt’altro che lusinghieri e share non proprio esaltante, ma in fondo che cosa si sarebbe potuto pretendere?

A mettere in serio pericolo questo strano Sanremo 2021 anche il gruppone dei ventisei “Big” – alcuni talmente big da essere sconosciuti ai più, ma, si sa, Sanremo è sempre stato un po’ così – ci mette parecchio di suo nell’affossare la kermesse rivierasca.

Almeno Achille Lauro, piaccia o no, sa fare spettacolo e la sua presenza ad ogni serata in qualità di ospite fisso provoca nel pubblico di casa – probabilmente vestito in giacca da sera e pantaloni della tuta – qualche sussulto; dopo l’omaggio a Bowie, che per inciso quarant’anni fa diceva cose assai più trasgressive delle esternazioni del trapper “gender fluid”, è arrivato il tributo a Mina, che per inciso è la testimonial canora dello sponsor unico del festival, scambiato da chi scrive per un ossequi a Rapunzel; poi mi hanno spiegato.

Tornando ai “Big”ed esaurita la seconda serata si può legittimamente passare a stilare le famigerate pagelle, attività alla quale si dedicano più o meno tutti, dalla arbasiniana Casalinga di Voghera al solone intellettuale. Ci proviamo anche noi, restando più sulla vena della suddetta massaia, assai più divertente del critico paludato che parla di “pitch” e “bridge”.

Partiamo!

AIELLO: look da scappato di casa (frettolosamente) ma portatore di un paio di orecchinazzi che avrebbero fatto invidia ad un satrapo. Vocalità indefinibile prestata a una canzone – “Ora” – che addormenterebbe anche il più agguerrito degli insonni; per giunta si mastica la lingua mentre canta. Voto: ci sono tanti altri lavori onorevolissimi…

ARISA: perché si è legata la coda con un tubo d’acciaio da un pollice? L’effetto spazzolino del WC è in agguato e se poi lo si abbina ad un pigiamone arancione la catastrofe è praticamente compiuta. La voce è sempre impeccabile; canzone non pervenuta. Voto: il titolo della canzone “Potevi fare di più”.

ANNALISA: “Dieci”, come le testate che viene voglia di dare contro uno spigolo. Testo melenso, musica su un range di mezza ottava, intonazione fantasiosa. Voto: si consiglia un viaggio in India alla ricerca di stessa.

COLAPESCE E DIMARTINO: i completini color pastello che fanno anni Ottanta proprio no; i due ragazzotti sono un incrocio tra Miami Vice e gli ZeroAssoluto. Canzoncina -ina -ina con arrangiamento vagamente latino e piacione. Voto: da riascoltare, distrattamente, sotto l’ombrellone.

COMA_COSE: si guardano intensamente mentre cinguettano la loro “Fiamme negli occhi”; peccato che, a giudicare dagli sguardi fissi sul nulla, le fiamme si siano estinte da tempo. Encomiabile l’idea “risparmiosa” di vestirsi con un unico scampolo. Voto: fare causa al parrucchiere di lei.

FASMA: non malissimo, la canzone è letale però lui si impegna parecchio per renderla plausibile. Voto: cambia autori.

FRANCESCA MICHIELIN E FEDEZ: coppia di fatto della canzone italiana. Lei, al solito, allegra come Mercoledì Addams lui più Fedez che mai. Geniale la carta igienica che lega idealmente i due microfoni. Voto: “Chiamami per nome”, ma anche no.

FRANCESCO RENGA: che sappia cantare è indubbio e che la canzone sia parecchio difficile pure, però il testo è bruttino e fa dimenticare una melodia niente male. Voto: più Renga per tutti.

GHEMON: trapper triste, sembra uno che in discoteca fa tappezzeria, “Canzone impresentabile” tanto da rendere auspicabile un intervento del suo omonimo amico di Lupin III e della sua katana. Voto: è meglio non infierire.

MADAME: vorrebbe essere un po’ LP e un po’ Juliette Greco; e vorrebbe fare la virtuosa senza avere i fondamentali. Canzone mortale. Voto: studia e ripassa. Ma noi siamo boomers e forse, bisogna ammetterlo, ci sfugge più di qualcosa.

MANESKIN: meravigliose bestioline da palcoscenico, Damiano è un mattatore nato e ha il rock nei cromosomi. Voto: il podio ci starebbe.

MAX GAZZÈ: sono vent’anni che canta sempre la stessa canzone e anche questa volta non ha voluto tradire se stesso anche si si è travestito da Leonardo. Voto: basta, per piacere.

NOEMI: tutta pettinata e agghindata da sera quasi non si riconosceva. La voce graffia il giusto e tutto sommato convince: Voto: la sorella minore di Gianna Nannini.

AVINCOLA: canta come i topini di Cenerentola e sembra uno che ti viene a spazzare le foglie secche dal giardino di casa. Voto: hai dimenticato di spazzare sotto il pioppo.

ELENA FAGGI: la sorella meno fortunata di Arisa prima maniera. Canzoncina fastidiosa scandita da un bit che indispone dopo due secondi. Voto: riteprovaci, tra quindici anni.

FOLCAST: “Non mi sento più le gambe, mi hai lasciato qui in mutande”, ovvero il nulla che si mette a nudo. Voto: meglio di no.

GAUDIANO: “Polvere da sparo” è perfetta per un bel remix estivo e lui, vestito celestino a parte, ha la faccetta che piace ai teenager. Voto: diamogli una chance.

ORIETTA BERTI: perfetta, tecnica di ferro, presenza discreta ma comunque forte, si mangia un bel po’ dei giovincelli in gara con lei. La canzone si canticchia dopo il primo ascolto. Voto: SANTA SUBITO!

BUGO: senza un Morgan con cui litigare ripiomba in un limbo di mediocrità. Voto: poveretto.

GAIA: il groove latino si arena dopo due battute e per capire cosa canta ci vorrebbe un manuale di istruzioni. Si salva con il capello perfetto. Voto: indirizzo dello hair stylist, please.

LO STATO SOCIALE: uno squarcio di luce nelle tenebre. Bravi, divertenti, ironici. Voto: aria di podio.

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA: sarà lei ad ever copiato il look del Coma_Cosa o vicenersa? Comunque lei e il chitarrista entrambi in ciclamino. Canzoncina latineggiante e facile. Voto: volevo essere la Pausini.

MALIKA AYANE: è bravissima ma anche lei canta sempre la stessa canzone. Voto: bene ma non benissimo.

EXTRALISCIO ft. DAVIDE TOFFOLO: se non ci fosse l’allegro ragazzo morto passerebbero per un gruppo di anziani che, privati delle bocce, si fossero dati al canto. Voto: anche no.

ERMAL META: canta strabene e la canzone è bella…e stranamente è pure il primo nella classifica provvisoria, con pieno merito. Voto: tifo per lui.

RANDOM: lo dice il nome stesso. Intonazione e stile “casuali”; canzone improponibile. Voto: boh.

FULMINACCI: volevo essere un po’ Venditti e un po’ Fabrizio Moro…e invece aspetto che qualcuno mi metta cinquanta centesimi nella custodia della chitarra. Voto: malimortac…

WILLY PEYOTE: anche lui guarda all’estate. Canzone come tante altre altre ma con buon margine di successo. Voto: paraculo.

GIO EVAN: per la serie “imitatori ne abbiamo”. Cristicchi e Fabi hanno successo perché non scimmiottano nessuno. Voto: ti prego…

IRAMA: presente virtualmente – maledetto Covid – ma con la sua tecnolambada e tanta presenza scenica si porta a casa la serata: Voto: mica male.

WRONGONYOU: una ballatona strappacuore con la noia sempre dietro l’angolo. Ogni tanto strafà ma è passabile. Voto: ma perché è Big?

GRETA ZUCCOLI: la voce è educatina, lei è rassicurante, la canzone noiosetta. Voto: torna con pezzo vero.

DAVIDE SHORTY: in un talent farebbe la sua figura; anche in un villaggio vacanze però. Voto: la sufficienza per simpatia.

DELLAI: la versione povera di Benji e Fede. Ad armonizzare manco ci provano, e forse è meglio. Già li vedo idoli di tredicenni. Voto: se non cantano è meglio.

In conclusione, a parte la divina Orietta, la Bertè-ospite si è pappata chiunque.

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