Sant’Ambrogio alla Scala, tra musica e vip (dal nostro inviato)
di Alessandro Cammarano
Anche quest’anno il rito si è compiuto e la stagione della Scala si è inaugurata il 7 dicembre giorno di Sant’Ambrogio così come avviene oramai dal 1951 – in precedenza la Prima era il 26 dicembre – per volere di Victor De Sabata.
Tutti o quasi senza mascherina per la prima volta dall’inizio della pandemia, grandi ospiti ed eleganza sobria, con alcune eccezioni, ma di questo si avrà modo di raccontare più avanti nella parte di articolo dove la recensione lascerà il posto ad una critica mondana molto poco politicamente corretta.
Il direttore Riccardo Chailly, alla sua nona inaugurazione, ha scelto – dopo un’alternanza di opere di Verdi e di Puccini, con il solo intermezzo dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano – di aprire con il Boris Godunov di Modest Musorgskij.
Apriti cielo! Un’opera russa, cantata in russo e con un cast quasi totalmente russo! Essendo l’italiano medio campione intergalattico di polemiche e paladino delle questioni di lana caprina si è immediatamente scagliato contro questa scelta – che per dovere di cronaca era stata programmata tre anni fa, dato che le stagioni dei teatri vengono pianificate con largo anticipo – che alcuni è sembrata offensiva nei confronti del popolo ucraino, con tanto di richiesta ufficiale del Console di Kiev a Milano di annullare la prima o di cambiare opera come se si trattasse di un paio di calzini.
Se si studiasse un po’ si scoprirebbe che il Boris è un’opera profondamente antizarista e che la sua prima versione del 1869 fu bocciata dalla censura imperiale che ne impedì l’andata in scena adducendo a pretesto la mancanza di un personaggio femminile “principale”.
Ovviamente i motivi erano altri perché nel Boris si parla di potere e delle sue deviazioni, di un infanticidio, di popolo oppresso, di verità non dette; altro che presenza femminile, che verrà inserita – con l’aggiunta dell’atto cosiddetto “polacco” – nella versione del 1871-1872.
Una volta tanto lo spettacolo ha messo d’accordo praticamente tutti: Chailly trova un percorso narrativo tutto incentrato su tempi capaci di infondere il senso di drammatica sospensione che è il punto focale dell’opera.
Altrettanto ben concepita la regia del danese Kasper Holten, al suo debutto scaligero, che firma uno spettacolo intenso con particolare attenzione alle masse ma senza mai perdere di vista i protagonisti.
Al limite della perfezione assoluta la compagnia di canto, con su tutti il basso Ildar Abdrazakov, veterano della Scala e protagonista indiscusso della serata durante la quale ha disegnato un Boris atterrito dai fantasmi del passato – l’erede legittimo, assassinato per permettere l’ascesa al trono di Boris è sempre presente in scena – e schiacciato dal presente.
Davvero bravi tutti gli altri, con il Coro protagonista come non mai.
Alla fine tredici minuti di applausi, meritatissimi, per tutti.
Esaurita la parte istituzionale – ogni tanto anche chi scrive qui è serio, ma solo ogni tanto – si torna alle facezie mondane che pure sono parte integrante della serata.
Partiamo dai grandi ospiti, come sempre presenti, con il particolare che quest’anno il palco reale ha rischiato seriamente il sovraffollamento a causa della presenza di un numero impressionante di politici – molti alla loro primo Sant’Ambrogio – desiderosi di mostrarsi.
Accanto al Presidente Mattarella – applaudito per sei minuti al suo ingresso in sala – la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, impeccabile, e poi il neopremier Meloni parecchio elegante e il Presidente del Senato Larussa oltre al sindaco Sala. Altri ministri sparsi per palchi adiacenti.
La vippanza era largamente rappresentata da Roberto Bolle, Stefano Accorsi, Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni, Morgan, Roberto D’Agostino in pelliccione sintetico stampato leopardo, più tutto il Gotha della finanza e dell’industria meneghina.
Per il ritorno alla “normalità” non si sono visti gli eccessi degli anni passati; ad esempio mancava la signora che si faceva fare l’abito da sera con le stampe delle locandine d’opera sbagliando sempre: indimenticabile il vestito Madama Butterfly indossato in occasione della Tosca.
Il Foyer Toscanini, che è quello dei palchi e si contrappone a quello di platea altrimenti detto “la tonnara”, sembrava comunque la mitica festa offerta dalla Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare nel “Secondo tragico Fantozzi”.
Sugli scudi due biondone di età indefinibile capaci di trovarsi sempre a favore di telecamera, in particolare la più giovane che sopra il lungo indossava una cappa corta di color scarlatto e di un tessuto assai simile al panno lenci e per di più bordata di peluche grigio, il tutto in stile Cappuccetto Rosso. Meravigliosa.
Fantastiche anche un paio di vegliarde liceo-museo capaci di esibire schiene scoperte le cui pelli cascanti richiamavano alla mente i drappeggi delle tende alla mantovana.
E poi toupet, diademi, collanazze di alta bigiotteria, anelloni e chincaglieria visigota, però anche tanti vestiti davvero eleganti e onore alle signore che hanno optato per completi pantalone.
Ultima considerazione: l’essere presenti alla serata salva dalla conduzione televisiva ancora una volta affidata alla coppia Vespa-Carlucci capace di svarioni surreali – mister Porta a Porta “chiama” il basso una volta Abkazadrov, un’altra Azdrabrakov e poi direttamente Adrazarabrakov – in grado di suscitare un misto di ilarità e indignazione; trovate tutto su RaiPlay.
Comunque esserci è bellissimo, sappiatelo.
Alessandro Cammarano