16 Ottobre 2024 - 13.24

Sbatti il mostro in prima pagina: i processi sui giornali manganellate alla credibilità di stampa e magistratura 

 

Negli ultimi anni si è assistito a un fenomeno preoccupante: il processo mediatico ha progressivamente preso il posto del processo giudiziario. I giornali, i talk show e i social media sembrano essere diventati i nuovi tribunali, con tanto di accuse, condanne e, talvolta, assoluzioni emesse ben prima che la giustizia possa fare il suo corso. Questo fenomeno solleva interrogativi profondi sul ruolo della stampa e sulla responsabilità della magistratura, entrambe istituzioni fondamentali in una democrazia.

La responsabilità dei media è evidente. In nome della notizia, della velocità e del sensazionalismo, troppo spesso si sacrifica la presunzione di innocenza, uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico. I titoli gridati, le accuse a effetto, e l’ormai famosa espressione “sbatte il mostro in prima pagina” hanno effetti devastanti non solo sulla vita delle persone coinvolte, ma anche sull’intera società. Il pubblico viene spinto a farsi un’idea, a emettere giudizi sommari, influenzato da informazioni parziali, incomplete o distorte.

Un esempio lampante di questa dinamica è la spettacolarizzazione di alcuni processi giudiziari che, pur complessi e delicati, vengono ridotti a episodi semplici da raccontare, con tanto di “buoni” e “cattivi”. La narrazione è spesso più importante della verità stessa. In questa logica, chi viene accusato diventa colpevole ancora prima che sia concluso il processo, e anche in caso di assoluzione, l’ombra del sospetto può rimanere per sempre. La reputazione personale e professionale viene irrimediabilmente danneggiata, a prescindere dall’esito giudiziario.

Ma le colpe non sono solo dei media. Anche la magistratura ha le sue responsabilità. La lentezza dei processi, la complessità delle leggi e la scarsa trasparenza di alcune procedure contribuiscono ad alimentare l’esigenza di una “giustizia immediata” che i media sembrano offrire. Quando la magistratura non riesce a fornire risposte rapide e chiare, è facile che i cittadini si rivolgano altrove per cercare giustizia, e i media, sempre pronti a riempire quel vuoto, diventano il luogo dove si celebrano i processi più importanti. Tuttavia, questo fenomeno porta a una perdita di credibilità per entrambe le istituzioni: da un lato, la stampa si allontana dal suo compito di informare correttamente, diventando uno strumento di giudizio affrettato; dall’altro, la magistratura, non più vista come garante di giustizia, viene percepita come inefficace e lenta.

Questa deriva, però, non giova a nessuno. I cittadini devono essere consapevoli che la giustizia richiede tempo, riflessione e prove. Il principio della presunzione di innocenza non può essere abbandonato sull’altare dell’audience o delle vendite dei giornali. Non è compito della stampa sostituirsi ai tribunali: i giornalisti devono raccontare i fatti con accuratezza e imparzialità, senza cadere nella tentazione di emettere giudizi sommari.

Magistrati e giornalisti dovrebbero riflettere profondamente sulle conseguenze del loro operato. Entrambi rischiano di perdere la credibilità, una perdita grave non solo per loro, ma per l’intera democrazia. È necessario riportare il giusto equilibrio tra diritto di cronaca e rispetto delle regole del processo giudiziario, perché un sistema che permette alla stampa di emettere sentenze prima dei tribunali è un sistema che tradisce i suoi stessi principi.

In definitiva la giustizia non deve essere spettacolo. Solo attraverso il rispetto dei ruoli e delle procedure si può garantire un sistema equo, dove l’informazione e la giustizia possano coesistere senza che l’una prevarichi l’altra. Serve più responsabilità da parte di tutti: i media non sono tribunali, e la giustizia non deve essere piegata alle logiche della spettacolarizzazione.

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