Sei stonato? Canta! Per te ci sono trap e autotune
Sei stonato? Canta!
di Alessandro Cammarano
Vengano signore e signori, vengano! Nel mondo della musica c’è posto per tutti, anche se negli ultimi anni una figura si sta facendo largo, senza neppure dover troppo sgomitare, affermandosi come modello di riferimento: lo stonato.
Un tempo, con sottile perfidia e pochissima attenzione al metodo Montessori, ai bimbi che non manifestavano particolare affinità con la musica la maestra ordinava di limitarsi a muovere la bocca, lasciando il canto dei cori natalizia a compagni di classe più dotati. Orrendo e diseducativo.
Oggidì le cornacchie sembrano avere preso il sopravvento sugli usignoli, oramai additati come tristi superstiti di un modo di far musica “vecchio”, “superato”, non più in linea con la necessità di lasciare a chiunque la possibilità di dar sfogo alla propria espressione.
L’evoluzione dei generi musicali aiuta le suddette cornacchie, che possono addirittura decidere di non cantare, limitandosi ad un recitar-cantando che però non ha nulla a che fare con quello codificato da Monteverdi, ma neppure con la più recente tradizione dei primi rapper.
Adesso, per usare un termine “giovane”, quello che “spacca” è la trap, che, nonostante l’assonanza, con il rap ha a che fare meno di quanto si creda pur essendone un sottogenere.
“Trap” deriva da Trap-house, ovvero quegli edifici abbandonati che diventano luogo di spaccio e consumo delle droghe più disparate e dunque simbolo di disagio.
Siamo parecchio lontani dalle rivendicazioni sociali del primo rap: i trapper, solitamente poco più che maggiorenni, parlano di problemi adolescenziali, gli stessi di sempre, attraverso stilemi linguistici comprensibili solo a un pubblico che va dai dodici ai diciotto anni.
Il trapper medio, tranne alcuni casi di look angelicato, si ricopre di tatuaggi, quasi sempre orrendi e che richiamano quelli delle gang americane. Neppure il viso si salva e i piccoli trapper si riducono rapidamente come dei ta-ze-bao in carne ed ossa, senza pensare che il passo dai sedici ai quaranta non è poi così lungo che la pelle perde rapidamente elasticità e che un mitra su un bicipite rischia di trasformarsi rapidamente in una delle armi-cartoon di “Chi ha incastrato Roger Rabbit”.
Ci piace? Insomma. Quello che ci piace ancora meno è che per fare tutto questo non è richiesto alcun talento musicale, anzi.
Dai primi anni Novanta è disponibile uno strumento formidabile che, con opportuni aggiustamenti, può trasformare una gallina in Barbra Streisand: l’Auto-Tune.
Software meraviglioso, nato per le ricerche petrolifere e adottato inizialmente da rapper – non dai più famosi – è andato dilagando fino ad essere impiegato da mezzetacche, anche celebratissime, e trapperini.
Corre voce che anche la divina Cher ne abbia fatto uso, anche se non si può dire in quanto si potrebbe rischiare il linciaggio con scuoiamento finale da parte delle legioni dei suoi fans; il Vocoder però, lo ha usato di sicuro.
Tra gli abusatori di Auto-Tune, soprattutto in sala d’incisione, la deliziosa Katy Perry, che dal vivo non becca una nota intonata neppure per caso; ma non è l’unica, basta andare a un concerto medio per ascoltare le magie dei tecnici del suono.
Tornando ai trapper di casa nostra, agli Achille Lauro – ma non era quello delle scarpe regalate agli elettori? – e agli Sferaebbasta e ai loro testi finto-impegnati teniamo a mente che in un mondo in cui la mediocrità assurge a valore l’algoritmo dell’Auto-Tune è il nuovo mantra.