8 Marzo 2024 - 9.16

Sì, la giornata per i diritti delle donne ha ancora un senso

Umberto Baldo

Sono anni che leggete i miei editoriali quotidiani su Tviweb, e sono anni che ogni 8 marzo vi intrattengo sulla cosiddetta “Festa delle donna”.

E anno dopo anno devo confessarvi che mi sembra sempre più una giornata in cui, a  parte la retorica della mimosa, ci si limita ad interrogarsi stancamente, e a constatare che, nel mondo, la strada per raggiungere una vera parità uomo-donna è ancora molto lunga.

Basta rileggere quello che scrivevo l’8 marzo 2023 : “..Con tutto ciò non voglio dire che l’8 marzo debba essere un giorno triste, ma semplicemente ricordare a tutti noi che per le donne non c’è nulla da festeggiare in Afghanistan, in  Iran, nel Corno d’Africa dove si stima che l’orrore delle mutilazioni genitali femminili colpisca il  98 per cento delle donne e delle ragazze, in India, in  Nepal, in Mali, in Pakistan, in Ciad, in Yemen, ed in generale in tutti i Paesi, e sono troppi, dove la mimosa è solo un fiore”, o riandare col pensiero a Giulia Cecchettin e a tutte le altre donne e ragazze che hanno perso la vita nella nostra Italia per mano di un uomo, per  sentirsi francamente scoraggiati. 

Se almeno si vedesse un trend costantemente rivolto verso un sempre maggiore riconoscimento dei diritti, uno sarebbe indotto a pensare che prima o poi magari anche i Talebani o gli Ayatollah, solo per fare due esempi, finiranno per ammettere che le donne hanno più diritti di un asino.

Ma il problema è che purtroppo assistiamo ad arretramenti anche in Paesi di antica e consolidata civiltà giuridica, come ad esempio negli Usa o nella nostra Europa.

E di conseguenza diventa una notizia incoraggiante anche la scelta della Repubblica Francese, primo ed unico Paese al Mondo, di inserire in Costituzione il diritto all’aborto. 

Guardate, lo so bene che si tratta di un argomento altamente divisivo, perché si scontra inevitabilmente con il fattore etico-religioso, ma per un incallitolaico-liberale come me è semplicemente inaccettabile che una qualsiasi Chiesa (e parlo in generale, non riferendomi a quella Cattolica romana) o Gerarchia ecclesiatica possa dettare legge, e decidere anche sulla vita delle donne.

Ma sia chiaro che per me sono “Chiese” anche ideologie totalizzanti come fascismo e comunismo. 

Ecco perché diventa una buona notizia la decisione del Parlamento francese di “costituzionalizzare” il diritto all’aborto, perché proseguire o meno una gravidanza è un problema intimo e personale di ogni donna, la quale deve essere libera, se credente, di seguire le indicazioni della propria religione, ma se non credente di fare quello che le suggerisce la coscienza, trovando però il sostegno e l’assistenza delle strutture dello Stato. 

Ecomunque la si pensi al riguardo, va riconosciuto alla Francia  che il rendere intoccabile il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, mettendolo al riparo da spinte reazionarie, rappresenta la risposta ad una tendenza che negli ultimi anni si è affermata dagli Stati Uniti all’Ungheria, passando per la Polonia, e arrivando a lambire l’Italia, come testimonia una proposta di legge per rendere obbligatorio l’ascolto del battito fetale prima dell’aborto, e dove l’attuale Ministro per le Pari Opportunità (sic!) Eugenia Roccella alla domanda “L’aborto fa parte di una delle libertà delle donne?” ha risposto “Purtroppo sì”. 

Ed è triste constatare che, in quella che era nata negli ideali degli estensori della Costituzione del 1789  come la “terra delle libertà”, gli Stati Uniti d’America, la Corte Suprema abbia decisoil 24 giugno 2022 di annullare la storica sentenza “Roe v. Wade” del 1973, che garantiva l’accesso costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza in tutti i 50 Stati dell’Unione.

E questa decisione, maturata in una Corte abbondantemente riempita di giudici conservatori (io preferisco un termine di altri tempi; reazionari), è il frutto avvelenato di un ruolo e di un peso sempre maggiore delle sette religiose nella politica americana.

La riprova sta tutta nelle parole pronunciate da Donald Trump a commento di quella sentenza: “E’ la volontà di Dio”.

Il minimo che viene da pensare è: “da che pulpito viene la predica!”

Mi piacerebbe tanto vedere la reazione di “censori” di tale fatta qualora capitasse ad una loro figlia o nipotina di 10 anni di rimanere incinta dopo essere stata stuprata da un uomo di 27 anni.

Mi piacerebbe proprio vedere se ringrazierebbero Dio e la Provvidenza dell’evento!  Mi piacerebbe proprio vederli ascoltare il battito di quel feto!

Guardate che parlo di una bambina dell’Ohio alla quale nel 2022 era stato negato di interrompere la gravidanza a seguito della legge entrata in vigore nello Stato, dopo che la sentenza della Corte Suprema  aveva annullato la tutela federale del diritto all’aborto. 

La bambina, ripeto di 10 anni, è stata costretta a trasferirsi nel vicino Stato dell’Indiana per interrompere la gravidanza.

Onestamente mi meraviglio come negli Stati Uniti sia possibile anche solo ipotizzare la vittoria di Donald Trump alle presidenziali, visto che anche negli States la maggioranza dell’elettorato è composta da donne.

Viene da chiedersi: perché  le donne non vanno in massa a protestare, e poi a votare contro il Tycoon?

Ma evidentemente nel profondo della società americana c’è un qualcosa che si è rotto,  che ormai  sfugge alla nostra comprensione, e credo che a  questo punto vada messo in conto che Trump non sia più un incidente della storia.

Riprendendo il filo del discorso, lo so che anche con l’aborto in Costituzione non tutto diventa rose e fiori, ma almeno la Francia ha avuto il coraggio di scrivere un “pezzo di storia” (e badate bene che, magari per mero calcolo elettorale, ha votato a favore anche Marine Le Pen).

Anche se questo “pezzo di storia” non avrà alcuna conseguenza immediata per  i circa 400 milioni di donne e ragazze che nel mondo vivono in condizioni di estrema povertà, per gli oltre 1,2 miliardi di donne e ragazze  che vivono in luoghi in cui l’accesso sicuro all’aborto è limitato, per i 12 milioni di bambine e ragazze che vengono date in sposa prima dei 18 anni, per quelle  donne o quelle ragazze che  vengono uccise da qualcuno della loro stessa famiglia ogni 11 minuti, per  quei milioni di donne che sono state obbligate a lasciare la propria casa negli ultimi anni a causa di cambiamenti climatici, guerre, conflitti o violazioni dei diritti umani, per quei 130 milioni di ragazze cui è negato frequentare la scuola.

Un intero universo di donne che continuano a subire ingiustizie, soprusi, violenze, persecuzioni, e che sono tenute ai margini della conoscenza, della cultura, della politica, della vita sociale.  E che spesso pagano addirittura con la vita, come Masha Amini e Nika Shakarami nell’Iran dei preti inturbantati.

Di conseguenza, la mia domanda iniziale se abbia ancora un senso la Giornata Internazionale dei diritti della donna, trova la sua risposta positiva in questi numeri.

E non a caso preferisco la dicitura “Giornata Internazionale dei diritti della donna” alla tradizionale “Festa della donna”, perché si rischia di banalizzarla, come se si trattasse della “Festa della giuggiola” o della “Festa della porchetta”.

L’Onu stima in 300 anni il lasso di tempo necessario per raggiungere condizioni eque fra i generi, e sempre che ci sia uno sviluppo costante. 

Noi ovviamente non ci saremo più, ma credo da sempre che certe aspirazioni, certi ideali, siano un po’ come i semi che interriamo, o il lievito che mettiamo nella pasta del pane.

Prima o poi cresceranno, e daranno i loro frutti.

Buon 8 marzo a tutte le bambine, le ragazze, le donne, le mamme, le zie, le nonne, le bisnonne, che, come recitava un antico proverbio cinese, “sostengono l’altra metà del cielo”.

Umberto Baldo

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