"Sono stata a Berlino e ho capito perché noi e i tedeschi non andiamo d'accordo"
[di GM]
Sono stata a Berlino per meno di una settimana e ho capito come mai noi e i tedeschi ci odiamo così tanto. In realtà, non è poi così difficile da immaginare: siamo atavicamente distanti. A partire dalle piccole cose.
Punto primo, nel mio appartamento berlinese mancava il bidet. Facile, dirà qualcuno, ce l’abbiamo solo in Italia. E per fortuna, voglio aggiungere. Che poi, quando sei in bagno e ti rendi conto di questa piccola, grande mancanza, il primo pensiero va sempre ai nostri cugini francesi (ah, l’amour!). Anche se, in questo caso, forse loro meritano un po’ più di rispetto dei tedeschi visto che, in alcune mie vecchie esperienze in Francia, ho potuto constatare che in certe case il bidet c’è, solo che non è in bagno (ma in un altro ridicolo stanzino in cui nulla c’è, eccetto il mitologico oggetto del desiderio).
Punto secondo, i tedeschi non parlano inglese. O meglio, forse lo parlano, ma sono così pieni di identità nazionale da non utilizzarlo mai. E con mai, intendo proprio MAI. Nemmeno in una capitale internazionale e cosmopolita come Berlino. Nemmeno se sei in un negozio e sei intenzionato a spendere un sacco di soldi, facendo arricchire il commerciante di turno. No, se sei un turista italiano loro troveranno SEMPRE un modo per darti fastidio, anche nel caso in cui tu potresti tornargli utile. Non uno straccio di menù scritto anche in inglese, non un cartello di indicazioni alla fermata della metro, non una persona sopra i 25 anni che ai tuoi “Thank you” risponda “You’re welcome”. Se poi sei fortunato e parli un po’ di tedesco, vorresti anche provare a comunicare e farti capire dai berlinesi. Ebbene, anche in questo caso puoi pure metterti l’animo in pace: i berlinesi non ti capiranno mai. O, a questo punto, faranno finta di non capirti dopo aver colto il tuo spiccato accento italiano. Detto ciò, noi italiani siamo conosciuti in tutta Europa per la nostra profonda ignoranza della lingua inglese. Ciò nonostante, perlomeno nelle città turistiche, i menù sono scritti anche in inglese (a volte…che dico, molto spesso, anche in tedesco). Senza contare che, da noi, il cliente ha sempre ragione. Anche se indossa sandali con le calze.
Punto terzo, per tutti questi motivi, i tedeschi (o forse solo i berlinesi) sono antipatici e odiano i turisti. In particolare se italiani. Gli episodi di tutti i giorni parlano da soli. Ero al bar e volevo ordinare da bere. Il menù, ovviamente, era tutto in tedesco, come in tedesco era la lavagnetta appesa sopra al bancone. Così, incapace di scegliere perché incapace di tradurre, ho chiesto al barista una nota birra tedesca, così come la pronunciamo noi in Italia. Bene, dopo avermi fatto attendere per un quarto d’ora ed avermi derisa in tedesco assieme a degli altri clienti, mi ha “gentilmente” spiegato a gesti e con la sua fantastica lingua che sa di parolaccia ogni due parole, che non poteva darmi da bere perché non capiva quello che chiedevo. Detto ciò, ho preso il menù e, come una bambina, gli ho indicato con il ditino quello che volevo ordinare. Alla fine della storia, il simpatico barista, ridendo sotto ai baffi biondi, ha mugugnato un “CRAZIE” ed io, passandogli i soldi, gli ho risposto “Ci vediamo al Lago di Garda”.
Punto quarto, i tedeschi si perdono in cose inutili, in regole senza senso che hanno come obiettivo il controllo totale, ma ottengono solo maggiori infrazioni. Per esempio, durante il mio soggiorno sono stata anche ad un grosso festival internazionale. Qui in Italia, ai concerti, si possono introdurre cibi e bevande di ogni genere (perché non ci sono vincoli e, anche se ci fossero, nessuno ti controllerebbe comunque). In Germania, ovviamente no. Per non far consumare bevande alcoliche ai loro giovani, i tedeschi hanno ben pensato di non far entrare al festival nessuna bevanda. Eccetto per quelle in tetrapak (si esatto, proprio lui. Quello del latte e dei succhi). Io me li vedo là a sghignazzare credendo di aver fatto il colpo del secolo. Il risultato? Ai tornelli erano più i ragazzini (anche visibilmente minorenni) minuti di cartoni del latte e di succo di frutta corretti alla vodka, che quelli senza niente. “Qui si usa così”, mi hanno spiegato. Certo, da noi, invece, nessuno ci controlla e siamo delle brutte persone. Bfff, del resto…i ragazzi dello zoo di Christiane F. erano a Milano, vero?
Punto quinto, ed anche ultimo. Mi volete spiegare come mai il mio bagaglio a mano a Venezia mi è stato giustamente considerato bagaglio a mano e ho potuto portarlo con me a bordo, mentre a Berlino invece una dispotica hostess, uguale alla signorina Rottermeier di Heidi, ha deciso che non era un bagaglio a mano, ma che doveva essere imbarcato in stiva? Il suo peso (e soprattutto le sue dimensioni) erano uguali all’andata. E, come se non bastasse, mi ha anche invitata con sdegno a “fare la richiesta per il bagaglio in stiva, la prossima volta”. Certo, signorina Rottermeier: noi italiani siamo così poracci che cerchiamo di imbrogliarvi anche sulle dimensioni dei nostri bagagli.
Il cielo è azzurro sopra Berlino? Uhm, mica tanto. Anzi, se potessero l’azzurro lo brucerebbero tutto. Auf wiedersehen, Berlin. Auf wiedersehen, germanici. Io me ne torno in Italia, dove Weizen si pronuncia “vaizen” e, per fortuna, non mettiamo i calzini bianchi sotto ai sandali.