21 Dicembre 2023 - 8.59

Stretti tempestosi: “Operation Prosperity Guardian”

Da che l’uomo ha cominciato a navigare il commercio è da sempre condizionato da stretti, canali e passaggi.

E se, tanto per fare un solo esempio, lo stretto dei Dardanelli ed il Bosforo rivestono da sempre un’importanza strategica, anche in epoche antiche in cui il termine globalizzazione non era neppure ricompreso nel vocabolario, immaginate la rilevanza di queste “strettoie” adesso che il 90 per cento dei prodotti, dalle materie prime ai manufatti, viaggia su navi. 

Oggi un singolo vascello trasporta 100 volte più merci rispetto a un secolo fa, e sono oltre un milione le navi che solcano le autostrade del mare.

Il gioco degli scambi è antico quanto la civiltà, e il mare è sempre stato lo scenario privilegiato, in quanto  sulle sue acque navigano sogni e denaro, potenza e avventura, scienza e mito, ragione e superstizione, e soprattutto merci.

E non meraviglia quindi se nomi come, Suez, Panama, Malacca, Hormuz, Aden, Gibuti, evochino lotte e frizioni fra Stati, grandi potenze in primis, perché sempre più le ambizioni di dominio e gli equilibri del mondo più che sulla terra si consolidano o si rompono tra le onde del Mediterraneo, del  Baltico, del Mar della Cina, del Golfo Persico, dell’Artico. 

Perché chi controlla militarmente questi “budelli”, queste strettoie obbligate, ha in mano le chiavi del potere, quello vero, quello economico.

Circa un mese fa, commentando il primo sequestro di una nave da parte dei ribelli Houthi dello Yemen, scrissi testualmente “Dio non voglia che, in conseguenza di un aumento della tensione nel Golfo di Aden, i mercati comincino a “prezzare” la criticità del passaggio delle navi nello stretto di Bab el Mandeb”.

Era una considerazione quasi retorica, perché quel che paventavo è puntualmente avvenuto.

Gli Houthi,  guerrieri sciiti stretti alleati dell’Iran, hanno continuato ad attaccare le navi in transito, tanto che alcune fra le più grandi Compagnie di navigazione  del mondo,   come la francese Cma Cgm,  la danese Maersk, la tedesca Haoag-Lloyd, l’italo-svizzera Mediterranean Shipping Co (Msc), l’inglese Bp, la norvegese Equinor, e le cinesi Oocl, Cosco,  ed Evergreen Marine, hanno notificato ai loro clienti la sospensione dei collegamenti lungo la rotta sotto attacco.

Tutte queste grandi compagnie, per spostare i carichi verso l’Europa dal Golfo Persico e dal Mar Rosso,  hanno giocoforza modificato le proprie rotte, passando dal Capo di Buona Speranza, e quindi circumnavigando l’Africa, 

Non è che il dover navigare per tremila miglia nautiche in più non abbia conseguenze; perché è evidente che i tempi si allungano, ed i prezzi dei noli aumentano. 

Per non dire poi degli aumenti del prezzo di petrolio e gas liquefatto, conseguenti all’instabilità politica ed alla chiusura della rotta normale. 

Vi starete sicuramente chiedendo: ma perché, dato che gli Houthi hanno spedito razzi anche verso Israele, lo Stato ebraico non ha reagito con la forza?

Per il semplice motivo che gli Stati Uniti hanno chiesto ad Israele di evitare un’azione militare unilaterale contro i ribelli yemeniti, e di aspettare che entrasse in campo una coalizione internazionale, alla cui costituzione stavano lavorando. 

Cosa che si è puntualmente concretizzata, con il varo dell’ “Operation Prosperity Guardian”, una coalizione multinazionale progettata per fornire rassicurazioni alle compagnie di navigazione che gli attacchi Houthi saranno respinti, e che quell’area di mare rimarrà sicura per la navigazione commerciale. 

L’obiettivo, scritto chiaramente in un documento, è “garantire la sicurezza nel Mar Rosso meridionale e nel golfo di Aden, con l’obiettivo di garantire la libertà di  navigazione per tutti i Paesi e rafforzare la sicurezza e la prosperità regionale”.

Quali sono gli Stati che hanno aderito?

La coalizione sarà guidata dagli Stati Uniti, ed i dieci Paesi partecipanti sono Gran Bretagna, Francia,  Italia, Bahrein, Canada, Olanda, Norvegia, Seychelles, Spagna.

Sono certo che i soliti “pacifisti” (in realtà filo Putin, filo Hamas, filo Iran) troveranno da ridire, ma io approvo in pieno la scelta del nostro Governo di fare parte di questi Stati che non possono tollerare gli attacchi di milizie armate contro le navi in transito da e verso Suez.

Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, meno ideologico; il fatto  che già oggi il porto di Trieste non vedrà arrivare alcuna nave per le prossime due/tre settimane. Ed in prospettiva viene poi da chiedersi: perché una nave, una volta circumnavigata l’Africa, dovrebbe entrare nel Mediterraneo?

La presenza del Barhein è molto importante, e dimostra che gli Usa volevano che anche gli Arabi entrassero nella task force, evitando così che fosse costituita solo da Paesi occidentali. 

Io sono pronto a scommettere che, anche se non lo dichiarerà apertamente, a dare una mano alla coalizione sarà anche l’Arabia Saudita, che non può non vedere di buon occhio un eventuale indebolimento degli Houthi, contro i quali combatte un’aspra guerra dal 2015.

Funzionari americani che hanno parlato con il Guardian hanno fatto sapere che “è assicurato il coinvolgimento di Giordania, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman,  ed Egitto”.    Gli Usa questa volta  hanno portato avanti un lavorio minuzioso per riuscire a portare dentro l’unità militare Paesi arabi, che  magari appoggiano la causa palestinese come gli Houthi, ma che dall’escalation di attacchi nel Mar Rosso rischiano di avere dei danni notevoli alla loro economie.

Siate certi che comunque non sarà una passeggiata di salute.

Innanzi tutto ci sarà da mettere in conto possibili reazioni dell’’Iran, che negli scorsi giorni aveva diffidato gli Usa ad intervenire direttamente contro le aggressioni del gruppo ribelle. 

Lo scorso weekend il ministro della Difesa iraniano, Mohammad-Reza Ashtiani, ha affermato che qualsiasi task force multinazionale si troverà ad “affrontare problemi straordinari nel tentativo di proteggere la navigazione nel Mar Rosso”. E ribadendo: “Nessuno può fare una mossa in una regione in cui abbiamo il predominio”.

E c‘è poi da considerare che gli Houthi, che da anni combattono per Teheran una guerra per procura” contro l’Arabia Saudita, sono piuttosto agguerriti e ben armati.

Di conseguenza, se si fermeranno di fronte al deterrente costituito dalla task force, bene, ma diversamente potrebbe essere necessario attaccare le loro basi, navi, depositi di armi.

Ed in questo caso il rischio è che gli Houthi intensifichino i loro attacchi, usando magari armi sofisticare che finora non hanno ancora utilizzato.

La verità è che le tecnologie giocano un ruolo sempre maggiore nella guerra moderna, per cui non esistono più conflitti facili, e relativamente pochi uomini ben armati possono creare problemi ad eserciti più strutturati.

Va segnalato che nella task force internazionale non c’è invece la Cina, che dallo sconvolgimento dei traffici  marittimi globali è forse il Paese che ha più da perdere, visto che circa il 40% del suo fabbisogno di petrolio e gas passa per il mar Rosso.

Ma è evidente che, per ovvie ragioni, Pechino non poteva sicuramente permettersi di entrare all’interno di una missione militare gestita e diretta dagli Usa, per cui più che “invitare gli Yemeniti a raggiungere la pace quanto prima”, dopo aver comunque ribadito che la Cina appoggia il legittimo governo dello Yemen, al momento non può fare.

Umberto Baldo

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