Taglio dei tassi: la Bce e la Lagarde navigano fra Scilla e Cariddi
Vi avevo anticipato ieri che questa settimana mi sarei concentrato sul tema delle elezioni europee.
Oggi apparentemente parlo d’altro, ma in realtà non è così, perché i “tassi di interesse” sono un argomento di valenza “europea”, visto che sono decisi dalla Bce, e anche se i Partiti in campagna elettorale non ne hanno parlato molto, concentrati come sono a confrontarsi senza quartiere su temi “nazionali”, si tratta di un tema di vitale importanza per le nostre vite e per l’economia nel suo complesso.
Do per scontato che vi sia noto il pregresso; vale a dire gli aumenti dei tassi a suo tempo decisi in pochi mesi dalla Bce per fare fronte all’impennata dell’inflazione, nonché le ulteriori politiche restrittive.
Nel bene e nel male sembra (ma il dubitativo in questo campo è sempre d’obbligo) che le manovre sui tassi delle Banche Centrali (Bce, Fed, ecc.) abbiano funzionato, anche se io non ci metterei la mano che sia stato tutto e solo merito loro.
E’ chiaro che, con il calo dell’inflazione, i tassi agli attuali livelli non hanno alcuna giustificazione, e non è un caso se gli economisti, gli analisti, ed i mercati, danno per scontata una prima riduzione di 25 pb da parte della Bce nella riunione del prossimo 6 giugno (ma la Federal Reserve potrebbe non tagliarli affatto nel 2024 a causa dell’inflazione che supera ancora il 3%).
E’ evidente che di per sé una riduzione dei tassi è un’ottima notizia per i corsi economici, anche se al riguardo io qualche distinguo mi sentirei di farlo.
Partendo dalle Banche, che al di là delle dichiarazioni di facciata giurerei che non sono proprio ansiose di vedere i tagli.
Infatti non è un mistero che grazie all’impennata dei tassi le Banche hanno realizzato utili stratosferici negli ultimi due anni. Basta guardare i loro bilanci! D’altrondedopo un decennio caratterizzato da tassi a “0” o addirittura negativi, in conseguenza della politica monetaria portata avanti dall’allora Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, (unitamente al cosiddetto Quantitative Easing, per stimolare la ripresa delle economie dell’area euro dopo la crisi del 2008), con il rialzo dei tassi, e quindi con l’aumento del costo del denaro, le Banche hanno aumentato i pricing applicati a privati e imprese, e questo è avvenuto praticamente in automatico, determinando un cospicuo incremento dei tassi sui mutui, sui finanziamenti, sugli sconfinamenti del conto, ed in generale su tutti i prestiti di qualsivoglia natura.
Tutto questo senza che i banchieri applicassero un altrettanto solerte adeguamento degli interessi riconosciuti alla clientela sulla raccolta.
Se a questo si aggiunge che sui soldi depositati presso la Banca Centrale Europea le Banche ricevono una remunerazione del 4%, capite bene perché non sono del tutto sicuro che i banchieri preghino ogni sera perché la Bce allenti la presa sui tassi. E con loro ovviamente gli azionisti delle Banche, perché una simile congiuntura favorevole capita raramente.
I privati, cioè noi comuni mortali, dalla riduzione dei tassi potremmo avere un beneficio nel momento in cui andassimo a chiedere un mutuo ad una Banca, od un prestito, od uno sconfinamento sul fido, ma diversamente l’unico vantaggio vero starebbe nel calo dell’inflazione stessa, e quindi del costo della vita.
Diversa è la situazione del mondo produttivo, delle imprese di qualsiasi tipo, che con le Banche ed il credito devono purtroppo fare i conti ogni giorno; ed effettivamente per loro un progressivo allentamento dei tassi equivarrebbe ad una boccata di ossigeno.
Arrivando all’oggi, alla stretta attualità, con l’inflazione nell’Eurozona in calo dal picco del 10,6% nell’ottobre 2022, al 2,6% nel maggio 2024, la Banca Centrale Europea sembra ottimista sul fatto che le pressioni inflazionistiche continueranno ad allentarsi.
Le sue proiezioni di marzo indicavano un’inflazione media del 2,3% nel 2024, prima di scendere al 2% nel 2025, e all’1,9% nel 2026.
Quindi sembra scontato l’inizio del percorso di taglio dei tassi.
Ma siamo sicuri che le proiezioni siano sufficienti a giustificare certe scelte?
Dopotutto, prevedere l’inflazione oltre un orizzonte temporale di un anno è notoriamente difficile, e questa difficoltà è risultata ben chiara a suo tempo, vista l’incapacità della stessa BCE di affrontare l’impennata dell’inflazione in modo tempestivo ed efficace.
Quello che voglio dire, per spiegarmi meglio, è che se da un lato il guardare avanti è positivo, dall’altro deve tenere conto dei limiti intrinseci, legati soprattutto all’incertezza delle previsioni economiche, ai tempi incerti, alla dissipazione a singhiozzo di numerosi shock (pandemia, crisi energetica, strozzature dell’offerta e delle catene di approvvigionamento).
Per limitarmi a fare qualche esempio, penso ai rischi geopolitici che abbiamo davanti, tra cui i conflitti in Ucraina e Medio Oriente, e l’escalation delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, che sicuramente complicano ulteriormente le prospettive di inflazione, che non si possono escludere al rialzo.
Capisco che per l’Italia la riduzione dei tassi sia vista dai nostri Demostene come “l’acqua santa”, ma a voler essere “obiettivi” il nostro Paese, con il debito monstre che si ritrova, e soprattutto con una classe politica incline solo a fare debito come se non ci fosse un domani, a gettare via enormi risorse in follie come il Superbonus 110%, ad opporsi a qualsiasi riforma che aumenti la concorrenza, a praticare il “più Stato meno mercato”, non può essere certo un modello.
Tanto è vero che alcuni Paesi (detti anche frugali, ma di cui fa parte anche la Germania) in qualche modo stanno facendo capire alla Bce che non è il caso di accelerare troppo con la riduzione dei tassi.
Oltre tutto è evidente che a giocare contro ci sta anche il fatto che quest’anno l’inflazione non diminuirà in maniera regolare (ed omogenea), come sta ad esempio accadendo in Germania dove sembra in ripresa.
Tornando ai nostri Demostene, nella loro cronica ignoranza, quando urlano e bacchettano la Bce per i tassi alti, non si rendono conto che la riduzione del costo del denaro spingerà inevitabilmente al ribasso anche il rendimento dei nostri Btp; così rendendo più arduo il compito di un Governo alla canna del gas (quanto al debito eh!) di piazzare titoli meno appetibili (hai voglia a magnificare i “Btp valore” destinati agli italiani, quasi fossero “l’oro alla Patria”!).
Per chiudere, direi che basare la politica dei tassi sulle previsioni macroeconomiche, risultate spesso inaffidabili, potrebbe essere un azzardo.
E gli errori conseguenti ad una errata valutazione della Bce potrebbero essere o una politica eccessivamente restrittiva, oppure un allentamento prematuro.
Una politica eccessivamente restrittiva potrebbe causare recessione e deflazione, minacciando potenzialmente la stabilità dei mercati finanziari o i prezzi immobiliari; ma un allentamento prematuro potrebbe riaccendere l’inflazione, costringendo la Bce a invertire i tagli iniziali e ad aumentare i tassi a livelli più alti rispetto a oggi (con tutti i rischi legati al fatto che gli Stati membri altamente indebitati, come l’Italia, potrebbero trovarsi ad affrontare dinamiche di debito insostenibili, con i mercati obbligazionari che mettono in dubbio la loro capacità di ripagare).
Per tutti questi motivi non sono fra quelli che danno per scontata una roadmap tutta orientata ad un veloce ribasso dei tassi.
Vi sembra che Christine Lagarde e il Board della Bce stiano navigando fra Scilla e Cariddi?
Effettivamente è così, e trovare nocchieri in grado di tenere la barra con sicurezza in quelle acque infide non è certo facile.