1 Giugno 2023 - 8.59

Tasse: da “cosa bellissima” a “pizzo di Stato” ce ne corre!

Certo nessuno pretende che il cittadino la pensi esattamente come il compianto Tommaso Padoa Schioppa, che da Ministro dell’Economia nel 2007 dichiarò in televisione: “Le tasse? Sono una cosa bellissima. La polemica anti- tasse è assolutamente irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola..”

Ma si sa che, fin dalla notte dei tempi, pagare le tasse non è fra le cose più gradite della vita!

Ma da “cosa bellissima” a “pizzo di Stato” ce ne corre!  Eccome se ce ne corre!

A cosa mi riferisco?

Forse potrebbe esservi sfuggito, ma nel comizio di chiusura per le ultime elezioni amministrative a Catania la nostra premier Giorgia Meloni ha parlato di evasione fiscale, relativamente alla quale ha detto testualmente “La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le big company, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di stato”.

“Pizzo di Stato”?  Sì non stropicciatevi gli occhi, avete letto bene!

Guardate, io voglio credere che si tratti del classico scivolone involontario, nel senso che la Meloni, smessi i panni da Presidente del Consiglio, ed indossati quelli da Capo dei Fratelli d’Italia, si sia lasciata trascinare dal clima elettorale, sublimato nel comizio in piazza.

Anzi a dirvi la verità mi auguro che la spiegazione sia questa, perché diversamente si tratterebbe a mio avviso di una cosa gravissima.

E’ decisamente sconcertante che un premier, in quella Sicilia storicamente  dominata e sottomessa dalla Mafia, e vessata con la pratica del pizzo, possa equiparare questa estorsione criminale alle azioni di contrasto all’evasione fiscale messe in campo dallo Stato.

Se lo pensasse veramente per me sarebbe sicuramente inadatta al suo ruolo di Capo del Governo!

Ma a parte le evidenti questioni di opportunità politica, e scusatemi io penso anche etica, le sue affermazioni non trovano alcun riscontro nei numeri sull’evasione nel nostro Paese (relativi agli ultimi dati disponibili, quelli dell’anno 2020), che lo stesso Ministero dell’Economia ha pubblicato nella “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale”, relazione fra l’altro allegata del Governo Meloni alla Nadef.

Cosa certifica questa Relazione?

In estrema sintesi che chi evade di più in  Italia sono i lavoratori autonomi, ossia i liberi professionisti e i piccoli commercianti, attraverso la mancata fatturazione e l’omissione dello scontrino fiscale.

Quindi per quanto sia politicamente pagante, in realtà è falso affermare che l’evasione fiscale riguardi più le multinazionali che non il piccolo commerciante o il lavoratore autonomo.  

Anzi, è vero l’esatto contrario, come è facilmente intuibile!

E non perché le multinazionali siano più oneste e i piccoli commercianti più disonesti, o viceversa.  Non si tratta di problema etico.  E’ che nelle grandi imprese organizzate la registrazione degli incassi (fatture e scontrini) è funzionale ai processi di contabilità e di controlli interni.

Questo non vuol dire che le grandi imprese non cerchino di evadere le tasse, ma solitamente lo fanno spostando interi rami d’azienda o la sede legale in Paesi con fiscalità di vantaggio, tipo l’Irlanda, il Lussemburgo, l’Olanda, le Isole Cayman, il Delaware ecc.

Il problema, noto ab immemorabile, è che la nostra è un’evasione fiscale di massa, palesemente tollerata dalla nostra politica per fini elettorali.

E calandoci un po’ più sulle fredde cifre, dalla citata Relazione si ricava che l’evasione Irpef da lavoro dipendente è di 3,8 miliardi, mentre l’evasione da lavoro autonomo e impresa di 28,3 miliardi. 

Sempre secondo la stessa Relazione, la propensione all’evasione è del 2,4 per cento per i dipendenti, e del 69,7 per cento per gli autonomi. 

La propensione all’evasione dell’Ires, l’imposta sui redditi delle società, è invece del 24 per cento (e va considerato che l’Ires la pagano non solo le multinazionali, ma anche tantissime piccole imprese).

E venendo all’Iva, nel confronto europeo dell’evasione di questa imposta, l’Italia ha un tax gap (differenza tra quanto si stima che sarebbe dovuto allo Stato, e quanto realmente versato dai contribuenti) del 20,8 per cento, simile alla Grecia (19,7 per cento), mentre quello della Francia è all’8 per cento, e quello della Germania al 4,8 per cento.

Tanto per essere più chiaro l’Iva non pagata nel 2020 è stata di 25 miliardi, che corrisponde a circa un quinto dell’imposta totale dovuta allo Stato italiano, e circa un terzo di tutta l’Iva evasa a livello europeo.

La premier dovrebbe sapere bene che l’Iva non è tipicamente un’imposta pagata da lavoratori dipendenti e pensionati, bensì la classica tassa dovuta da imprese, commercianti  e lavoratori autonomi. 

Tirando le somme, nel 2020 il tax gap è stato di 89,8 miliardi di euro:  di cui si stima che 79 miliardi derivino delle imposte evase (come IRPEF, IVA, IRES e IRAP), mentre 10,8 miliardi dai contributi non pagati, cioè quei pagamenti che servono per finanziare le pensioni e le prestazioni assistenziali come la malattia ed il congedo parentale, tra gli altri. 

Inviterei Giorgia Meloni a frequentare “in incognito” negozi, bar e ristoranti; si accorgerebbe che per molti titolari lo scontrino è veramente un optional (come lo è la fattura per l’idraulico o l’elettricista).

Tanto che proprio ieri leggevo di un panificio in Alto polesine che dal 2019, quando è stato aperto, non ha emesso un solo scontrino fiscale, e al quale il Fisco ora contesta incassi per 350mila euro.    

Sarebbe anche questo un caso di “pizzo di Stato” cara Presidente?

Ma notizie simili, che trovo scandalose, le leggiamo ogni giorno su giornali e media.

Io non ho alcuna pregiudiziale ideologica nei confronti di Giorgia Meloni.

E francamente da lei mi sarei aspettato un cambio di passo sul problema fiscale.

Ma sentirla parlare di “pizzo di Stato” mi fa letteralmente cadere le braccia, perché di fatto ciò equivale a giustificare la “piccola evasione di massa”, che costituisce uno dei principali problemi del nostro Paese.

Per non dire che iniziare la “riforma fiscale” introducendo la cosiddetta flat tax al 15 per cento per i redditi di lavoro autonomo e impresa, equivale a prevedere  una tassazione più bassa rispetto ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati, ai quali è stato invece negato anche l’adeguamento totale al tasso di inflazione.

Obiettivamente spiace che anche Giorgia Meloni ricorra come sempre e come tutti a slogan falsi e demagogici, puntando furbescamente il dito contro le “multinazionali”, perché i dati  reali mostrano  che non è così.

Ma cosa volete, i piccoli commercianti e gli artigiani votano, le Big Company no.

Umberto Baldo

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