15 Aprile 2025 - 16.43

Taxisti- La casta che nessuno osa toccare

di Umberto Baldo

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In questi giorni in quel di Firenze, città d’arte fra le più visitate al mondo, è in corso uno scontro (denominato sciopero fantasma) fra i taxisti ed il Comune.
E viene da piangere constatare che il paese dell’ “Open to meraviglia” del Ministro Santanché, dei record mondiali vantati in tema di visitatori, tutto si sgonfia quando accoglie i turisti con code infinite alle stazioni, agli aeroporti, e comunque ovunque serva un servizio celere ed efficiente. Basta andare a Roma Termini, a Milano, a Bologna, a Firenze, a Padova, insomma ovunque nel Belpaese, per avere l’impressione di essere arrivati in località di quello che una volta chiamavamo Terzo Mondo.
In Italia esistono categorie professionali che, nel corso dei decenni, sono riuscite a costruirsi attorno una vera e propria corazza di privilegi, spesso a scapito dell’interesse collettivo. Tra queste, i tassisti occupano senza dubbio un posto d’onore. I taxi italiani sono pochi, costosi, e difficili da trovare nei momenti in cui servono davvero. Eppure ogni tentativo di riformare il settore si è infranto contro un muro di resistenza corporativa. La verità, che pochi hanno il coraggio di dire, è che i tassisti sono stati costantemente protetti da tutti i governi, di qualsiasi colore politico, perché capaci di farsi sentire e soprattutto temere.
La licenza taxi, in Italia, non è più da decenni uno strumento per esercitare un servizio pubblico. È diventata un bene patrimoniale, una sorta di “mini rendita” che si acquista a caro prezzo e che si trasmette, magari da padre in figlio. Le licenze sono contingentate, cioè numericamente bloccate da anni e anni, rendendo il mercato chiuso e impermeabile alla concorrenza. Chi ne possiede una ha tutto l’interesse ad evitare che ne vengano rilasciate di nuove.
E così, mentre le città crescono, i flussi turistici aumentano, e i cittadini chiedono servizi moderni ed efficienti, il numero dei taxi resta lo stesso…. o quasi.
La politica ha dimostrato una sistematica sudditanza verso questa lobby. Ogni volta che un ministro — a destra come a sinistra — ha annunciato aperture alla concorrenza o liberalizzazioni, ha poi fatto rapidamente marcia indietro al primo accenno di sciopero (manco fossero i camionisti nel Chile di Allende).
Perché i tassisti, a differenza di altre categorie, si fanno sentire: bloccano le città, fanno rumore, mettono in difficoltà amministrazioni locali e nazionali. Il danno d’immagine è immediato, il costo elettorale anche. E’ quindi meglio lasciar perdere.
Si era sperato che l’arrivo di Uber, e più in generale delle app. digitali di mobilità, avrebbe potuto modernizzare il settore (come avvenuto ovunque in Europa), portare trasparenza nei prezzi, prenotazioni con un clic, tracciabilità del servizio. Ma non è andata così.
In Italia Uber è stata relegata al settore NCC (noleggio con conducente), con norme capestro e limitazioni territoriali e temporali che ne hanno impedito la diffusione. Il motivo? La pressione durissima delle associazioni di categoria, che hanno agitato lo spettro della “concorrenza sleale, quando in realtà si trattava di innovazione.
D’altronde se hai consentito da sempre ai taxisti di non avere concorrenza, di avere redditi alti ma opachi con un’evasione fiscale generalizzata e tollerata, di trasformare in proprietà privata una concessione pubblica, perché dovrebbero rinunciarvi?
A farne le spese il cittadino che non ha strumenti per tutelarsi, ed il turista che al ritorno in Patria non magnificherà certo il servizio taxi della “Repubblica dei Quaquaraquà”.
Inutile illudersi, per cambiare servirebbe un Governo capace di guardare al futuro e non solo ai sondaggi.
E soprattutto che sia convinto che in una democrazia liberale, il Mercato non è un nemico, bensì uno strumento per migliorare i servizi.
Dal canto loro i tassisti, se vogliono davvero difendere il proprio ruolo, dovrebbero accettare la sfida della concorrenza, perché continuare a farsi proteggere non è dignitoso, e neppure giusto.
E dovrebbero mettere anche in conto che a tirarla troppo….. prima o poi la corda si spezza.

VIACQUA

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