29 Aprile 2025 - 11.16

Trump, il Re Mida al Contrario  Ogni volta che appoggia qualcuno, quello perde

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI

Umberto Baldo

In Canada sembrava tutto già scritto come sulle tavole della legge.

Dopo che il primo Ministro uscente  Justin Trudeau era arrivato ad un livello di impopolarità del 74%, tanto da costringerlo alle dimissioni, prenotando per il suo Partito Liberale  una sonora sconfitta a tutto vantaggio del Partito Conservatore, sono bastati 100 giorni di Trump per rovesciare il tavolo.

Ieri i Canadesi hanno dimostrato che si può cambiare idea anche all’ultimo secondo, e così il primo ministro Mark Carney, il vincitore di queste elezioni, ha affermato che il suo Paese non dovrà mai dimenticare il «tradimento» americano. «Il nostro vecchio rapporto con gli Stati Uniti è finito»

A questo punto  mi uguro stiano cominciando a pensarci anche i suoi: e se Donald Trump, più che un leader, fosse un porta sfiga professionista?  Un iettatore istituzionale?

Per carità, nessuno vuole credere davvero al malocchio. Ma dalla Groenlandia al Canada, passando per il Midwest americano, la statistica parla chiaro: se Trump ti appoggia, preparati a una figura di merda.

Candidati, movimenti, referenti locali: tutti affondati come il Titanic dopo l’abbraccio del Donald. È una cosa quasi mistica. Forse dovrebbe vendere la sua benedizione politica sotto forma di spray repellente “Trump- se vuoi perdere di sicuro ed in fretta”.

Lui ovviamente non ci sta. Ogni sconfitta è un broglio, un tradimento, un complotto ordito da Biden, da Soros, da Hillary e magari anche da Greta Thunberg. Ma il punto è che non regge più nemmeno fra i suoi.

Il suo endorsement ormai fa l’effetto di un colpo di zappa sui piedi: attira l’attenzione, sì, ma nel senso che ti guardano tutti mentre cadi.

Partendo dalla Groenlandia, che di solito non compare esattamente nel radar della geopolitica trumpiana, là, un partito nazionalista e “trumpiano di importazione” ha fatto fiasco. 

E anche in Canada, i candidati “trump-style” sono stati asfaltati.

Un tempo bastava pronunciare “Make America Great Again” per risvegliare gli istinti profondi di un certo elettorato, al quale oggi il Tycoon sembra provocare un misto di imbarazzo e crampi allo stomaco.

La verità è che Trump è rimasto fermo al 2016.

Parla ancora come se fosse in campagna elettorale per “sistemare l’élite”, ma è diventato lui stesso l’élite del populismo.

Un anziano signore in giacca troppo lunga che ripete slogan che non fanno più ridere nemmeno ai raduni QAnon.

Eppure lui insiste. Come un disco rotto che ripete sempre la stessa canzone stonata, Trump continua a vedere il mondo in bianco e nero: o con lui, o contro di lui. E chi osa perdere dopo aver ricevuto la sua benedizione viene prontamente scaricato su Truth Social con una congerie di insulti e teorie del complotto.

Il problema è che, mentre lui recita il suo copione eterno, come un disco rotto, il mondo va avanti. Cambiano i temi, cambiano le paure, cambiano persino gli slogan. E un’ombra come la sua, lunga e ingombrante, rischia di affondare non solo i suoi protetti, ma anche un pezzo di quella destra che avrebbe bisogno, oggi più che mai, di una nuova narrazione.

Altro che Re Mida: Trump è diventato il Totò Riina della politica elettorale.
Avvicinarsi troppo a lui significa rischiare la morte in campagna elettorale!

E quindi? Che si fa? 

I repubblicani (quelli veri, non i cosplay trumpiani) dovrebbero domandarselo in fretta. 

Perché se continuano a farsi dettare l’agenda da uno che perde più spesso di una squadra di curling saudita, rischiano di seguire il loro idolo nel burrone dell’irrilevanza politica.

Insomma, Trump per certi versi sembra la Nutella scaduta; una volta la amavi, adesso fa solo male.

Umberto Baldo

VIACQUA

Potrebbe interessarti anche:

VIACQUA