9 Aprile 2025 - 9.37

Trump non è un ‘cigno nero’: le motivazioni dell’uomo che disprezza tutti e sta incasinando il mondo

Donald Trump non è un cigno nero

Umberto Baldo

Noi siamo fatalmente portati, per la nostra natura e per il relativamente breve lasso di tempo in cui si sostanzia la vita umana, a vedere la storia come un processo lineare, in cui gli eventi si susseguono seguendo una certa logica.

In realtà basta studiare un po’ le vicende della civiltà umana per rendersi conto che  la storia non è mai stata una lista di date e nomi in un processo lineare, quanto piuttosto il risultato di dinamiche talmente complesse da risultare imprevedibili, in cui una minima variazione può avere effetti di vasta portata.

Non stupisce quindi se dopo ottant’anni di pace, welfare e benessere, per noi europei fosse diventato naturale pensare che bene o male la nostra vita dovesse procedere più o meno  senza grossi traumi fino alla pensione, che i nostri ragazzi non avrebbero mai dovuto imbracciare un fucile, che si potesse fare le ferie ovunque nel mondo senza rischi, che la guerra  fosse definitivamente bandita nel vecchio Continente.

Certo non tutto fila sempre liscio, ma finché un popolo bene o male riesce a mangiare tre volte al giorno, a vestirsi, a mandare i figli a scuola, a curarsi quando serve, ed i furbi grazie all’evasione fiscale a permettersi anche una bella vita a spese degli altri, alla fine nessuno scenderà mai in piazza a dare fuoco alle auto. 

Per di più, inutile nascondercelo, noi ci siamo convinti che bastasse dichiararsi “pacifisti”, e come per magia gli altri Stati, dalla Russia alla Cina all’Iran alla Corea del Nord, avrebbero rispettato questo nostro “Walhalla mentale”.

Le guerre in corso ci hanno dimostrato quanto fossero flebili ed infondate queste nostre certezze, ed adesso si è aggiunto il ciclone Donald. 

In linea con questa nostra “propensione mentale”, probabilmente pochi di noi si erano reso conto della reale portata della riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump, e solo di fronte allo sconquasso all’economia mondiale provocata dei dazi imposti dagli Usa ci stiamo rendendo conto che le nostre certezze sono come le brume, pronte ad evaporare ai primi raggi del sole.

Certo avevamo guardato, magari con sguardo preoccupato, gli attacchi del Tycoon ai capisaldi della democrazia americana, ma solo quando ci siamo trovati di fronte al crollo delle Borse (e molti di noi in questi giorni stanno calcolando le perdite, e leccandosi le ferite) abbiamo realizzato che questo che stiamo vivendo passerà alla storia come uno di quei momenti in cui a guidare gli eventi non è una “linea”, bensì uno “strappo”.

I più raffinati magari tireranno in ballo il “cigno nero”, che notoriamente identifica  un evento inatteso, anzi di più, impossibile da prevedere e persino da immaginare.

Il suo arrivo è talmente spiazzante da mettere in discussione i codici con cui tendiamo a leggere la realtà, scardina certezze e pregiudizi, rimodula in qualche modo i punti di riferimento. 

A onor del vero io tenderei a non considerare Donald Trump  un cigno nero, per il semplice motivo che non è una scoperta dell’ultima ora: era già stato alla casa Bianca, aveva in qualche modo evocato un colpo di Stato quando perse contro Biden, ed i dazi sono stati la sua ossessione fin da quando era giovane.

Quindi inutile fare le vergini violate: chi fosse lo si sapeva, cosa avesse in animo di fare lo si sapeva; forse non ci si aspettava tanta violenta determinazione.

Trump da mesi occupa le cronache di giornali e media, e di lui ormai sappiamo di tutto di più.

Ma a questo punto della storia per lo meno a me viene spontanea la domanda: chi è veramente Donald Trump?

La prima risposta potrebbe essere: un emerito “Idiota”. 

In fondo è la soluzione più semplice, più immediata, più “liberatoria” in un certo senso, ma a mio avviso poco convincente, perché è difficile per un perfetto idiota imbambolare una Nazione delle tradizioni e delle dimensioni degli Stati Uniti.

Ci sarebbe poi la risposta psicologica, oggettivamene difficile da dimostrare,  che sostiene che Trump stia mostrando tutti i tratti di quella che gli strizzacervelli chiamano “Triade Oscura”, ovvero un soggetto affetto da un disturbo narcisistico maligno della personalità, che tiene insieme narcisismo, machiavellismo e psicopatia.

Altra risposta: è uno “stupido” circondato da un entourage di stupidi.

Sì, potrebbe essere uno stupido narcisista maligno, dotato di un ego smisurato, e per certi versi le sue decisioni sembrano confermare la fondatezza delle “leggi sulla stupidità” a suo tempo teorizzate dallo storico dell’Economia Carlo Cipolla:

I legge fondamentale: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.”

II legge fondamentale: “La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.”

III legge fondamentale: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.”

IV legge fondamentale: “Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.”

Analizzatele con un po’ con attenzione e sicuramente constaterete che bene o male anche il Tycoon in qualche modo rientra nelle leggi di Cipolla.

Se però scartate le ipotesi predette, bisogna giocoforza concludere che Trump possa essere il famoso “cigno nero”, uno “statista” che guarda lontano, e non ha alcun timore di scardinare un ordine mondiale che bene o male reggeva dalla seconda guerra mondiale.

Comunque finirà, Trump determinerà un salto nella storia: una storia iniziata negli anni con il Wto e la globalizzazione, quando i capitali andarono in Asia alla ricerca di manodopera a basso costo, l’Occidente importò ricchezza a Wall Street e povertà nelle classi operaie, che persero il posto di lavoro (ecco perché gli operai usa votano Trump), ed i cui salari tesero a livellarsi con quelli della manodopera asiatica. 

Guardate, mi auguro per voi che non pensiate di trovare in queste mie riflessioni tutte le risposte alle domande che in questo momento stanno occupando le menti di Capi di Stato e di Governo, politici, economisti, Capi d’impresa e chi più ne ha più ne metta.

Come pure mi auguro non pensiate di trovare qualche consiglio pratico per come muovervi sui mercati, o qualche dritta su come guadagnare in questa fase.

Vi ho sempre detto che non credo ai profeti e a chi ha le risposte per tutto, per cui, se volete, al massimo potete perdere un po’ di tempo ragionando assieme a me.

Non so se riuscirò ad esaurire tutte le questioni e le problematiche in un solo giorno, per cui caso mai riprenderò l’argomento domani.

E comincio partendo dalla constatazione che, a mio modesto avviso, l’uso smodato e violento dei dazi, come fossero una clava,  non può avere come unico obiettivo il riequilibrio della bilancia commerciale Usa nei confronti del resto del mondo: ci deve essere ben altro, che forse scopriremo giorno dopo giorno.

Mi spiego meglio. 

Se stiamo alle parole di Trump i dazi hanno un duplice obiettivo: incrementare di molto le entrate federali per sanare un bilancio pubblico tutt’altro che in salute, e indurre le aziende a riportare le produzioni negli Usa, rafforzando economia e lavoro.

Molto più facile a dirsi che a farsi.

Primo perché la reindustrializzazione necessita di forza lavoro specializzata, che gli Usa da decenni non hanno più (visto che ormai importavano quasi tutto), e sicuramente i ragazzi bianchi della middle class non sono disposti ad andare in fabbrica o a raccogliere pomodori;  e poi perché spostare produzioni richiede capitali, tempo, e anche certezze; e a tal proposito non è detto che le grandi imprese facciano il salto avendo il dubbio che magari fra due anni, alle elezioni di Mid Term, cambi nuovamente tutto.

Ecco perché Trump ha fretta, e per gestire rapidamente quella che lui vede o immagina come la transizione verso un nuovo ordine multipolare (di sfere di influenza), deve mettere in campo una policy da “ponti bruciati”. 

Una politica da cui non si torna indietro, perché lo sconquasso di questi giorni è un gioco che puoi permetterti una sola volta.

Si spiegherebbe così il cinismo con cui sta sfruttando tutte le leve di cui dispone, interne ed esterne, in una sorta di “o la và o la spacca”.

E si tratta necessariamente di un gioco a tutto campo. 

Ecco perché quando Trump parla di annettere Canada e Groenlandia, va preso in maniera maledettamente seria. 

La sua logica in fondo è semplice: se vuoi gestire a tuo favore la transizione verso un nuovo ordine mondiale, devi essere tu a determinare  l’agenda, non Mosca con le sue guerre, non Pechino con la sua diplomazia/affari,  e sicuramente non l’Europa liberale.

In questo senso va riconosciuto che Trump per ora sta vincendo. 

In due mesi, l’agenda mondiale è stata completamente riscritta, e stiamo tutti ragionando secondo la logica “trumpiana”. 

Durerà?  Ci sono altri aspetti da considerare?

Lo vedremo domani.

Umberto Baldo

VIACQUA

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