Tumore al seno, ogni anno in Veneto test genomico per 1.000 pazienti
Ogni anno in Veneto si registrano quasi 4.900 nuovi casi di tumore della mammella. È la neoplasia più frequente nella Regione, infatti rappresenta il 16% del totale delle diagnosi oncologiche. L’ottimo livello di assistenza, raggiunto grazie anche alla Rete Oncologica Veneta (ROV), è testimoniato dalla sopravvivenza a 5 anni, pari a quasi il 90% (89,9%), una delle più alte in Italia. I test genomici sono uno strumento utile per il clinico, perché permettono di prevedere il rischio di recidiva e, quindi, di escludere la chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale, evitando inutili tossicità con risparmio di risorse. Nel nostro Paese, però, queste analisi, raccomandate dalle più importanti linee guida internazionali e utilizzate nei principali Paesi europei, sono gratuite solo in Lombardia, Toscana e nella Provincia Autonoma di Bolzano, che ne hanno approvato la rimborsabilità. Per questo gli oncologi del Veneto chiedono che sia subito approvato il decreto attuativo che può sboccare il Fondo di 20 milioni di euro stanziati dalla Legge di Bilancio per l’applicazione gratuita dei test genomici sul territorio nazionale, garantendo così uniformità in tutte le Regioni nell’accesso alle analisi molecolari. Si è svolta recentemente in Veneto la terza tappa del tour virtuale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che prevede 8 incontri regionali, per sensibilizzare gli oncologi sul ruolo dei test genomici nel carcinoma della mammella. Il progetto è realizzato con il supporto incondizionato di Exact Sciences.
“Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico) alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato – afferma Giuseppe Azzarello, Coordinatore AIOM Veneto e Direttore UOC Oncologia Ematologia Oncologica, AULSS 3 Serenissima (Regione Veneto, Distretto Mirano – Dolo, Venezia) -.Nella malattia luminale a rischio ‘intermedio’, sussiste però una significativa incertezza terapeutica, perché nelle linee guida internazionali e nazionali non vi sono indicazioni vincolanti su quando sia possibile omettere la chemioterapia o quando invece sia necessario somministrarla. I test genomici possono supportare l’oncologo nella personalizzazione delle terapie in alcune tipologie di pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale. La Legge di Bilancio 2021 ha istituito un Fondo di 20 milioni di euro per il rimborso diretto delle spese sostenute dagli ospedali per l’acquisto dei test genomici nelle donne con carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce. È necessario il decreto attuativo da parte del Ministero della Salute per sbloccare i 20 milioni di euro del Fondo. Garantire subito l’accesso ai test genomici in tutte le Regioni è una battaglia di civiltà”.
“Il test è indicato per un particolare sottotipo di pazienti, quelle con tumore della mammella di tipo luminale, che esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-), a rischio intermedio. Rientrano in questa popolazione circa 1.000 pazienti ogni anno in Veneto – spiega Pierfranco Conte, Direttore Divisione di Oncologia Medica 2, Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, e Coordinatore Tecnico Scientifico della Rete Oncologica Veneta -. È molto importante che si segua sempre il criterio dell’appropriatezza. L’utilizzo della chemioterapia in pazienti con recettori ormonali positivi storicamente è stato molto variabile nei diversi Paesi, anche prima della disponibilità dei test genomici. Ad esempio, è molto più esteso negli Stati Uniti rispetto all’Europa. E nel Vecchio Continente, Spagna e Francia ricorrono alla chemioterapia con più frequenza rispetto a Germania e Inghilterra. In Italia assistiamo a una notevole variabilità territoriale, anche all’interno di una stessa Regione, perché l’impiego della chemioterapia è più diffuso in centri che promuovono studi sulla chemioterapia adiuvante rispetto a quelli focalizzati sulla terapia ormonale”. “Ecco perché è essenziale inserire le evidenze scientifiche all’interno della pratica clinica italiana – continua il Prof. Conte -. Nell’ambito della Rete Oncologica Veneta abbiamo condotto due studi, entrambi pubblicati su ‘The Oncologist’, utilizzando il test genomico Oncotype DX. Nel primo studio, BREAST-DX Italy pubblicato nel 2017 su 369 pazienti (con tumore ormonoresponsivo, HER2 negativo e fino 3 linfonodi positivi), il test genomico ha determinato una modifica delle raccomandazioni iniziali dei clinici nel 16% dei casi, con una riduzione netta dell’uso della chemioterapia dell’8%. Nel secondo studio, ROXANE, pubblicato recentemente, nel 30% dei casi si è avuto un cambio della terapia inizialmente scelta dal clinico, con una riduzione netta dell’utilizzo della chemioterapia pari al 16%. Dati decisamente diversi se confrontati con quelli di altri Paesi europei che hanno stimato un calo di circa il 30% dell’uso della chemioterapia con il test”. “In attesa del decreto attuativo per sbloccare il Fondo di 20 milioni di euro, allo IOV abbiamo deciso di utilizzare parte dei fondi ricavati dalle sperimentazioni profit per offrire il test alle pazienti colpite da carcinoma mammario con recettori ormonali positivi (HER2 negativo e linfonodi negativi), che non appartengono né al gruppo a basso rischio né a quello ad alto rischio – conclude il Prof. Conte -. È stata istituita una equipe di 9 esperti dedicati alla patologia mammaria, chiamati a esprimere il loro giudizio sulle pazienti a rischio intermedio. Se c’è alta concordanza (cioè almeno 7 voti a favore della sola terapia ormonale adiuvante o almeno 7 a favore della chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale), non si esegue in test genomico. Se non c’è questa concordanza, allora si effettua il test. Delle 239 pazienti osservate da settembre 2020 a marzo 2021, 123 sono state definite in modo concorde a basso rischio (trattate con terapia ormonale senza ricorrere al test), 29 ad alto rischio (indirizzate alla chemioterapia adiuvante in aggiunta alla terapia ormonale senza il test), 87 a rischio intermedio. La valutazione discordante ha riguardato solo 14 pazienti a rischio intermedio, che sono state indirizzate al test: in 9 casi, l’analisi ha confermato l’indicazione prevalente posta dai 9 oncologi, in 3 il test ha modificato l’indicazione terapeutica prevalente da sola terapia ormonale all’aggiunta di chemioterapia e in 2 da chemioterapia alla sola terapia ormonale. Va quindi contestualizzato l’impatto dei test genomici nella pratica clinica italiana. E serve estrema attenzione nell’applicare sempre il criterio di appropriatezza”.