Umberto Eco e gli scemi del villaggio (social)
di Marco Osti
E’ morto Umberto Eco e tutti sembrano oggi esperti conoscitori di Umberto Eco e delle sue opere.
Basta navigare un po’ su internet e sui social network per accorgersi che tutti hanno un parere su di lui, da chi effettivamente ne conosceva la grandezza intellettuale, la profondità culturale, la vasta conoscenza e ne ha sempre letto gli scritti, gli articoli e i romanzi, a gente che forse a fatica ha visto il film “Il Nome della Rosa”, nemmeno aperto il libro, e ne parla affranta come fosse mancato un parente.
Anzi, mentre i più accorti vivono la perdita di questo grande italiano con riservatezza e un dolore composto, quelli che appaiono più devastati dalla scomparsa sono proprio quelli che meno lo conoscevano e hanno reagito con uguale sgomento alle recenti scomparse di Ettore Scola e David Bowie.
E’ “la legione di imbecilli” con cui Eco etichettò la massa di persone che quotidianamente esprime qualsiasi opinione le passi per la testa attraverso internet, che ha dato diritto di parola a tutti, come fossero premi Nobel.
La definizione, espressa nel giugno del 2015, durante una ormai famosa conferenza stampa, successiva alla cerimonia in cui gli venne consegnata la Laurea Honoris Causa in Comunicazione dall’Università di Torino, circolò subito sui mass media e sui social network e fece grande scalpore, dividendo l’opinione pubblica, tra chi difendeva la gente comune rispetto a una visione ritenuta snob di Eco e in nome della democrazia e chi invece si schierava con il professore.
In quella circostanza gli vennero fatte alcune domande su internet a cui rispose evidenziando il problema dell’affidabilità e dell’autorevolezza dei siti e il tema della veridicità delle fonti.
In primo luogo sosteneva quindi che i giornali dovrebbero ogni giorno fare l’analisi di una serie di siti, dando giudizi tra quelli affidabili e quelli che non lo sono, tra l’altro in tal modo contrastando la concorrenza di internet invece di subirla, o peggio di adeguarsi, imitandone alcune logiche pressapochiste.
Inoltre Eco sosteneva che la questione dovesse riguardare anche la scuola, per la quale suggeriva che i professori stimolassero un approccio critico, magari consentendo agli studenti di copiare dai siti per sviluppare un tema su un certo argomento, ma imponendo di usarne almeno dieci, in modo da costringere gli studenti a consultare più fonti e a stimolarli a una valutazione critica.
In proposito rifletteva che i siti non sono verificabili dai professori, perché uno di storia non è in grado di sapere se è attendibile un sito che si occupa di fisica quantistica, per questo invece lo possono fare i giornali, con l’ausilio di esperti su singole materie, mentre i docenti possono invogliare gli studenti a paragonare i siti, “come faceva sant’Agostino – aggiungeva – che non sapeva l’ebraico e quasi niente il greco e diceva di paragonare fra loro le traduzioni per capire qual è la migliore”.
In quest’ambito, in merito a una domanda sui social network, Eco in quella conferenza stampa diceva che creano anche un fenomeno positivo, perché consente di mettere in contatto persone lontane e anche fare circolare informazioni e opinioni in regimi totalitari, ma allo stesso tempo – e qui disse la famosa frase – “dà diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società”.
Su questo punto a suo avviso emergeva il problema del filtraggio delle notizie, perché non si sa se sta parlando un premio Nobel o un imbecille.
Eco però riteneva che comunque esiste un meccanismo di conservazione che impedisce di prendere una deriva solo negativa. “In merito all’invasione degli imbecilli – disse – credo che dopo un poco si crea una sindrome di scetticismo e quindi nessuno crede più a quello che arriva da un social network, che non viene considerato una fonte attendibile, quindi non si crederà più neanche alle persone serie che comunicano con questi strumenti”.
E aggiunse: “Come si fa a sapere se un messaggio è davvero di Papa Francesco?”.
Quindi Eco dichiarò: “E’ positivo lo scambio di opinioni fra persone, ma il problema è quando non c’è un limite al numero di persone che interagiscono, perché oltre un certo livello parlano solo i matti, dato che i savi hanno un certo riguardo a esprimersi”.
Del resto a suo avviso “è stata la televisione a promuovere lo scemo del villaggio”.
“Fino a Mike Bongiorno – disse il professore peraltro richiamando il suo saggio del 1963 “Fenomenologia di Mike Bongiorno” – la televisione promuoveva quello che è uguale allo spettatore, non più bravo, poi con i programmi trash viene messo in scena lo ‘scemo del villaggio’, quello rispetto al quale lo spettatore si sente superiore ed è quindi contento”.
“Il dramma di internet diffuso – continuò Eco – è la promozione dello ‘scemo del villaggio’ a portatore di verità, mentre nella realtà sarebbe il pazzo”.
La società però, secondo lui ha mezzi con cui difendersi e “oltre un certo limite riesce a reagire, perché altrimenti entrerebbe in conflitto il patto sociale. Infatti così è avvenuto ad esempio quando una volta il Corriere della Sera pubblicò un articolo che credeva di Pierpaolo Pasolini e si rivelò essere un falso.
C’era il rischio che quell’episodio creasse sfiducia nei giornali e nessuno più li leggesse, ma invece c’è stata una difesa istintiva da parte del pubblico e delle redazioni, che su internet può avvenire e solo attraverso la capacità critica di chi ci naviga e la capacità di riconoscere le fonti.
La frase sulla legione di imbecilli fu quindi espressa nell’ambito di una serie di ragionamenti in cui sosteneva il valore dell’approfondimento, dello sviluppo di una coscienza critica rispetto alle informazioni che si ricevono e alle fonti da cui si traggono, dell’importanza quindi di formare le proprie opinioni sapendo distinguere e di come la società deve reagire a tutto ciò.
Crediamo che un modo diverso per onorare la sua morte sia stato contestualizzare e approfondire quello che disse, che invece per una nemesi perversa, rimase solo circoscritto alla frase sulla legione di imbecilli, in primo luogo da parte dei giornalisti presenti alla conferenza stampa che lanciarono la notizia limitandosi a quella citazione.
Oggi Eco è morto, ma la sua lezione resta e tutti dovremmo sforzarci di apprenderla, come subito imparò il discepolo immaginario cui lui si riferì in una lettera che scrisse nel 1997, dove indicava quale istruzione per morire sereni quella di apprendere fino al punto di convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni.
Al termine della stessa il discente disse: “Maestro, non vorrei prendere decisioni precipitose, ma nutro il sospetto che Lei sia un coglione”.
La risposta fu: “Vedi, sei già sulla buona strada.”
Naturalmente anch’io mi aspetto che qualcuno possa replicare a questo scritto con un semplice “Osti, credo che Lei sia un coglione”.
Anzi, ne sarei orgoglioso.