15 Gennaio 2025 - 11.54

Un video non si nega a nessuno. Purtroppo.


Qual è stato il momento preciso in cui l’apparenza, o meglio il desiderio di apparire, ha definitivamente soppiantato la voglia di essere? Quando esattamente siamo diventati tutti videomaker, ma soprattutto perché? La voglia di apparire esiste da sempre, il desiderio di mostrarsi è insito nella natura umana, ma con l’avvento degli smartphone – che siano comunque benedetti per la marea di cose utilissime che permettono di fare – tutto ha preso una china pericolosa. Viviamo in un’epoca in cui qualsiasi evento, anche il più insignificante, viene documentato con il telefono: dal bambino sul vasino al tramonto di giovedì scorso, tutto diventa degno di una ripresa in HD. Ma cosa ci spinge a trasformarci in registi amatoriali di ogni singolo istante della nostra vita? Ecco una carrellata, tra il serio e il faceto, dei fenomeni più diffusi.


Il bambino sul vasino: il nuovo Thimothée Chalament della famiglia. Non importa se il piccolo sta imparando, magari con qualche difficoltà, a usare il vasino: c’è sempre un genitore pronto a immortalare questo momento di gloria. La scena viene accompagnata da commenti tipo “Bravo amore di mamma!” e,inevitabilmente, finisce su Instagram. La domanda sorge comunque spontanea: chi esattamente vuole vedere quel video? I nonni? Gli amici? O forse un futuro partner del bambino quando avrà 18 anni?


Altra iattura orrenda è il concerto pop-rock, dove vedi tutto dallo schermo, anche se sei in prima fila. La musica dal vivo è un’esperienza unica… o almeno lo era, fino a quando non siamo diventati cameraman dilettanti. Ormai i concerti sono un mare di schermi sollevati in aria e anche se gli artisti sono lì davanti a te, sudati e pieni di energia, tu li guardi attraverso il display del telefono, manco fossi a casa sul divano. E vogliamo parlare dell’audio? Quel gracchiante “’Cause you were never mine” – per inciso si tratta di “August” dell’ultracelebrata Taylor Swift – ripreso da uno smartphone è tutto fuorché musicale. Che senso può avere spendere l’equivalente di uno stipendio medio per “assistere” ad un concerto di Byoncé senza di fatto goderselo? Misteri del nuovo corso dell’”apparenza”.

Altra categoria agghiacciante è quella del turista-macchina fotografica nei musei, luoghi che un tempo erano templi di silenziosa contemplazione mentre oggi sono diventati set fotografici. Ogni quadro, scultura o mummia viene ripreso sotto almeno sette angolazioni diverse – compreso l’immancabile selfie – e non on importa se non hai idea di chi sia Caravaggio. La didascalia di solito recita “Bellissimo!!!” seguito da una serie di emoticon che vanno dallo smile con gli occhi a cuore alla bomba a mano e via, dritto nelle storie. L’ironia è che il 90% di queste foto non sarà mai rivisto, se non per sbaglio, quando finirai lo spazio sul telefono.

Un apposito girone infernale andrebbe riservato agli immortalatori del cibo al ristorante, forse la categoria più perversamente fastidiosa nel bestiario dei tiktoker di paese. Che si stia mangiando una seviche di rana pescatrice di Sumatra o un panino onto il protocollo è sempre lo stesso: scattare foto e riprendere ogni angolo del piatto. Nessuno tocca il cibo finché non è stata raggiunta la luce perfetta e il livello di saturazione, il tutto mentre il cameriere – soprattutto se abituato a servire clienti di
un certo livello e non influencer buzzurri – ti guarda con espressione rassegnata, chiedendosi cosa ci sia di così interessante in una pizza margherita. Tragico corollario: il commento audio al video è costellato di “iconico”, “must eat” e compagnia cantante, tanto per rendere ancora più plastica l’inadeguatezza intellettuale del gastronomo de’noantri.


Tremenda è pure la ripresa delle disgrazie altrui. Un passante scivola su una buccia di banana? Un gabbiano ti ruba la merenda o peggio ti defeca sulla testa durante un passaggio a volo radente? Prima ancora di aiutare, almeno tre persone hanno già estratto il telefono per filmare. Il video, ovviamente, finirà online con il titolo “FAIL clamoroso: guardate fino alla fine!”.

La realtà squallida è che siamo più veloci a premere “REC” che a fare qualsiasi
altra cosa. I momenti di “vita quotidiana” sono un’altra fonte assai appetibile come soggetto di
video e reel; la routine di tutti i giorni offre momenti drammatici, come ad esempio
una cassa lenta al supermercato o la fila alla posta. Ecco allora che qualcuno inizia a riprendere, con tanto di zoom sulle persone davanti e commento indignato: “Ecco l’Italia che non funziona!!!”.
Questo video, purtroppo, non aiuterà la fila a scorrere più velocemente, ma almeno genererà qualche like. E che dire dei tramonti da cartolina, quelli che ogni sera è quella “più bella di
sempre”? Un tramonto è un momento magico, ma non c’è nulla di spontaneo quando ti trovi
accanto a una folla di persone che regge il telefono in mano. È un rituale collettivo:
“Wow, guarda che colori!”; solo che a furia di fissare lo schermo, finiamo per
perderci la vera bellezza del momento.

In conclusione, viviamo o filmiamo? In un mondo in cui ogni evento è documentato,
viene da chiedersi se siamo ancora in grado di vivere il presente.
Forse, ogni tanto, sarebbe meglio mettere giù il telefono, godersi il momento e
lasciare che il ricordo resti solo nella nostra memoria.
Anche perché, diciamolo, la carbonara di anguilla non diventerà mai virale.
O almeno lo speriamo.

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