VENETO – 1.417 milioni di accessi al pronto soccorso: l’attesa media per un codice rosso è di 3 ore e mezza
Il Veneto si colloca al quarto posto tra le regioni italiane per il numero complessivo di accessi ai pronto soccorso ospedalieri nel 2023, seguendo Lombardia, Emilia Romagna e Lazio. Durante quest’anno, sono stati registrati 1.417.704 accessi, di cui il 54,99% con codice bianco (779.570), il 19,81% con codice verde (280.829), il 23,24% con codice giallo (329.536) e l’1,96% con codice rosso (27.769). Questi dati provengono dalla terza edizione dell’Indagine nazionale sullo stato di attuazione delle reti tempo-dipendenti condotta dall’Agenas, presentata in data odierna.
Tuttavia, la regione mostra risultati meno soddisfacenti per quanto riguarda i tempi di attesa dei pazienti, specialmente per i casi meno urgenti, identificati con il codice bianco al momento del triage. In questa categoria, il Veneto si posiziona tra le regioni con i tempi d’attesa più lunghi, con una media superiore ai 115 minuti nella maggior parte dei pronto soccorso.
Il tempo mediano di permanenza per i casi classificati con codice rosso, dove la gravità del caso determina tutte le attività necessarie, supera i 200 minuti. Per i casi codificati con codice giallo, così come per quelli codificati con codice verde, il tempo mediano di permanenza si attesta intorno ai 160-170 minuti.
Nel contesto dei ricoveri di pazienti provenienti dal pronto soccorso, la regione del Veneto si distingue come una delle più virtuose, occupando il quinto posto con circa il 31% del totale. Al di sopra del Veneto, si posizionano le regioni della Campania, del Molise, della Sardegna e del Piemonte.
Inoltre, il Veneto registra performance positive nella percentuale di infarti trattati con angioplastica coronarica entro 90 minuti dal ricovero, raggiungendo il 53,35%.
Infine, un dato curioso riguarda l’abbandono del pronto soccorso prima della visita medica o della chiusura della cartella clinica. Questo fenomeno coinvolge solo l’1,65% del totale degli accessi nel Veneto, evidenziando un divario significativo rispetto ad altre regioni, come la Sardegna con il 24,31% e la Sicilia con il 12,71%.