2 Dicembre 2013 - 11.04

VENETO, QUANDO IL CRIMINE E’ NOMADE

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di Alessandro Ambrosini

Il Veneto è terra di conquista da sempre, anche dal punto di vista criminale. Non sono solo ‘Ndrangheta, camorra, mafia o le organizzazioni straniere a imperversare sul territorio. C’è una forma malavitosa, di altissimo spessore, che tutti conoscono ma che difficilmente troverete nei rapporti degli organismi preposti al controllo. Sono una “zona franca” che viene rilevata nel microcrimine ma che da sempre spazia dall’accattonaggio alle rapine ai furgoni blindati, alle ville. Sono i mercenari del crimine: i giostrai nomadi.

Dagli anni 70, l’immagine del nomade in Veneto ha preso una connotazione diversa. Non era più lo tzigano colorito e furbo che si occupava di arrangiarsi nella vita con espedienti più o meno onesti. Una parte dei residenti negli accampamenti delle periferie urbane usarono la loro condizione di nomadi e il loro modello di vita estremamente duro per creare delle “batterie” di rapinatori che, proprio nel Veneto, trovarono l’alleanza con chi invece , nella sua mente aveva un piano organizzativo criminale ben definito: Felice Maniero, il boss della Mala del brenta

Da quel momento armi, droga, sequestri e assalti ai portavalori furono il pane quotidiano di questi uomini che si celavano dietro una professione nobilissima quale quella del giostraio. Erano professionali nelle azioni, freddi e sicuri. Sparivano come fantasmi nell’anonimato degli accampamenti dopo ogni rapina, si spostavano di zona in zona con la tranquillità di avere la copertura di una comunità che comunque non riconosceva le leggi italiane e i suoi tutori. Non erano sempre altrettanto professionali quando si trattava di dividere il bottino e anche Maniero ebbe i suoi problemi nel recuperare dei soldi in un campo nomade a Brescia, che risolse con due sberle e le spalle coperte da mitra e pistole.

Ma i tempi cambiano. Oggi, da quei gruppi, sono nate generazioni che hanno coltivato ogni forma di crimine. Raccontava un vecchio giostraio che stazionava a Vicenza che esiste quasi una scuola che fa crescere i futuri criminali. Una scuola che tiene conto dell’età, dei rischi e delle conseguenze quasi in modo scientifico.

Da neonati vengono usati per accattonaggio o per diversivo in qualche borseggio, in età adolescenziale iniziano loro stessi a essere i borseggiatori o scippatori. Imparano a fare piccoli furti nelle macchine per poi passare alle case. E non c’è distinzione tra maschio e femmina. La strada è di tutti. Le prime esperienze coincidono solitamente con il carcere minorile, considerato da loro come una palestra di vita imprescindibile.

Non lo è invece il carcere dei “grandi”, quello che dopo i 18 anni ti si chiude alle spalle e non guarda in faccia nessuno. Da maggiorenni arriva lo step successivo: la truffa, crimine soft ma infimo e dannoso. Giovani, belli e vestiti bene con Suv costosissimi sono “rappresentanti porta a porta” di tutto ciò che può allettare per un facile guadagno. Propongono di tutto, da euro da riciclare a dollari da cambiare, da computer e smartphone fino ai quadri. Sono eleganti, gentili e dall’italiano quasi senza accento. In realtà la truffa è dietro l’angolo e un filo di fango sotto le loro Prada li può smascherare facilmente. La vita negli accampamenti non presuppone moquette.

A centinaia, tra la metà degli anni novanta e i primi del duemila, le vittime con il “metodo della valigetta”. Una truffa diventata quasi leggenda che, trattando operazioni illecite, il truffato non poteva nemmeno rivolgersi alle forze dell’ordine senza incorrere in qualche denuncia penale. Valige in pelle piene di soldi veri si trasformavano, come per magia, in carta di giornale subito dopo lo scambio con le banconote di chi credeva di fare “l’affare della vita”.

E’ dopo lo step della truffa arriva quello delle rapine, dello spaccio e delle armi che non mancano mai. Un traffico silenzioso e discreto che garantisce l’approvvigionamento soprattutto alle organizzazioni pugliesi.

A Vicenza e nel Veneto i nomadi sono tendenzialmente stanziali ma rispetto ad altre città come Roma non reinvestono mai i loro capitali illeciti in attività commerciali, al massimo, prestano soldi a tassi usurai ma cercano di rimanere lontani da quel mondo che troppe volte è considerato solo una preda. Chiaramente non si vuole generalizzare, le mele marce esistono in ogni tipo di società e non caratterizza l’intero popolo. Uno stile di vita diverso non implica necessariamente lo sposare il crimine ma è evidente dai dati e dai fatti che, quello degli accampamenti e dei nomadi, rimane un mondo borderline. Una linea di confine che, purtroppo, è facile da valicare.

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