11 Marzo 2022 - 14.07

Veronica Franco, la cortigiana intellettuale che entra nei salotti degli uomini di potere della Serenissima

È il 1564 quando Venezia si sorprende dell’audacia di una giovane donna che, a soli 18 anni e incinta del primo figlio, si separa dal marito, reclama la propria dote e diventa padrona della propria vita ed indipendenza. Veronica Franco è la più famosa cortigiana della Serenissima Repubblica, che ha 1600 anni di storia. Cortigiana “honesta”, perché in realtà Veronica era una donna a tutto tondo: scrittrice, musicista, curatrice di raccolte poetiche, saggista. Bellissima, dai modi gentili e garbati, Veronica è il simbolo dell’indipendenza femminile in un periodo storico in cui le donne potevano solo maritarsi o entrare in convento.

Nata nel 1545 da Francesco e Paola Fracassa, viene introdotta alla carriera proprio dalla madre, che le insegna tutte le arti per diventare una “cortesana honesta”. La morte precoce di Francesco obbliga infatti Paola a tornare alla sua redditizia professione, che per la figlia sognava però una vita diversa. A 16 anni convola a nozze con il dottor Paolo Panizza, un medico dedito al gioco e al bere che spesso alza le mani su di lei. A 18 anni e incinta di un altro uomo, Veronica si separa dal marito e viene introdotta dalla madre al mestiere. 

Intelligente e colta, Veronica non è una semplice prostituta, ma seleziona i suoi clienti in base alla classe sociale, al denaro e alla cultura, arrivando ad entrare nei salotti degli aristocratici veneziani, di letterati, poeti e uomini influenti, tra cui il Re Enrico III di Polonia e Francia, intrattenendo rapporti con i poteri forti della città. Poetessa e letterata, è l’incarnazione della donna libera del Cinquecento che seppe cantare in versi i suoi amori senza timore e che sostenne la libertà di essere licenziosa. 

Forse a causa della sua professione, abitò in molte zone di Venezia come San Vitale, San Giovanni Crisostomo, San Giovanni Nuovo, San Moisè. A Santa Maria Formosa trasformò la sua residenza in un vero e proprio ateneo dove riunì musicisti, pittori e nobili. I frequentatori, oltre a godere dei piaceri carnali, venivano allietati anche da concerti, dibattiti filosofici e letture di poesie.  

Nel 1575 pubblicò un volume di “Terze rime”, indirizzate al duca Guglielmo di Mantova, quello che sarà definito “uno dei più cari canzonieri femminili del ‘500”, e nel 1580 un volume di “Lettere familiari a diversi”, dedicato al cardinale Luigi D’Este. Nelle sue rime si legge tutta la rivalsa verso il mondo maschile che non riuscì mai ad impedire lo sviluppo della sua personalità. “Se siamo armate e addestrate – scriveva – siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro”.  

Nel 1580 fu denunciata e incriminata per stregoneria al Santo uffizio veneziano, un processo che si concluse con un non luogo a procedere ma che la segnò nel profondo, sia per il periodo passato in carcere sia perché perse tutte le sue ricchezze. Morì probabilmente per una malattia venerea il 22 luglio del 1591, diventando nei secoli il simbolo di una donna che accettò gli uomini per conquistarsi i propri spazi di libertà e di autonomia. 

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