Vicentini amati ed illustri, ma quasi dimenticati
di Alessandro Cammarano
Nostalgia in una giornata d’inverno che sembra quella di una primavera precoce. Nostalgia per una Vicenza bella e perduta, un po’ come la Gerusalemme del Popolo d’Israele deportato a Babilonia nel “Va pensiero”. Nostalgia per figure di intellettuali, mecenati e benefattori di un’epoca a noi ancora vicinissima e che, purtroppo, sembra distante anni luce.
Non stiamo parlando di nomi come Fedele Lampertico o Antonio Fogazzaro; almeno a loro la città ha dedicato strade e istituti scolastici, no, coloro ai quali vogliamo dedicare il nostro ricordo richiamandoli alla memoria dei loro concittadini di oggi – troppo concentrati sull’apparire e non sull’essere, schiavi dell’immagine e dimentichi della cultura vera, capaci di bearsi per uno spritz e non in grado di godere della bellezza di un palazzo palladiano o di un quadro a Palazzo Chiericati – che probabilmente di questi grandi non sanno nulla. Eppure queste persone, insieme ad una classe industriale illuminata, ha fatto Vicenza grande e famosa.
Quanti volti e quanti ricordi di serate memorabili si affacciano alla memoria; riunioni conviviali che si trasformavano in veri e propri simposi, con cibo e vino che facevano contorno a conversazioni sempre arricchenti eppure improntate ad una semplicità disarmante e profonda.
Giuseppe “Boso” Roi, discendente da una delle più nobili tra le famiglie vicentine, uomo di straordinario spirito, autoironico, coltissimo e mondano nell’accezione più alta del termine. Boso era quello che i francesi chiamerebbero “charmeur”; di un’eleganza sportiva nell’abbigliamento, fatto di impeccabili giacche inglesi che la sera lasciavano il posto ad abiti perfetti. Patrono delle arti e soprattutto della danza vicentina, che fortunamete “rara avis” non si è dimenticata di lui anche perché il marchese Roi contribuisce alla realizzazione di spettacoli anche da morto grazie a lasciti illuminati.
Dimenticato dai più è invece il professor Renato Cevese, storico dell’arte dalla mente raffinata, paladino appassionato nella difesa della sua città e dell’eredità artistica che contiene. Cevese era una presenza costante nelle battaglie condotte da pochi illuminati per far conoscere Vicenza nel mondo. Mi manca, tanto, anche la spigolosità che ogni tanto e sempre a ragione manifestava verso gli ignoranti.
Chi ricorda Giorgio Oliva? Senatore, sottosegretario in due governi, presidente della Società del Quartetto e del Comitato Spettacoli Classici all’Olimpico, elegante come un divo del cinema, con gli occhi vividi e un sorriso appena accennato che lo accompagnava sempre. Vicentino d’adozione – era nato a Voghera – ma amava come pochi la città che lo aveva accolto; dedicata a lui esiste una strada: passateci.
Su Angelo di Valmarana si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro; una delle persone più spiritose e autoironiche che mi sia mai capitato d’incontrare; un pozzo senza fondo di aneddoti, tutti spiritosi e dotato della capacità di produrre battute fulminanti.
E che dire del cronista vicentino per eccellenza, Walter Stefani, autentica memoria storica della città, profondo conoscitore delle tradizioni locali? Memoria di ferro lo si incontrava, sempre in compagnia della moglie, a passeggio per il centro o seduto al caffè, sempre pronto a fare due chiacchiere. Bei tempi.
Virgilio Scapin meriterebbe un capitolo a parte: libraio, scrittore, attore, gastronomo gaudente; una figura di intellettuale che oggi semplicemente non esiste più. Scrivendo i ricordi si affollano e riaffiora Neri Pozza, uomo rinascimentale; editore, incisore raffinatissimo, con un fiuto inarrivabile per i giovani autori.
Non disturbo Guido Piovene e Goffredo Parise, vicentini che amarono e odiarono la loro città guardandola comunque con nostalgia e profondo rispetto.
Chiudo con una gran dama della musica: Marcella Pobbe. Cantante magnifica e donna di bellezza abbagliante anche quando gli anni cominciarono a mostrare il loro segno; diva fino nel midollo, conscia del suo fascino ma capace di commuoversi dinanzi ad una gentilezza rivoltale. Quante volte l’ho riaccompagnata a casa dopo i concerti del Quartetto e quante volte ho ricevuto, come ringraziamento, uno dei sorrisi più belli che mi sia dato di ricordare. Basta adesso, che sennò poi devo asciugarmi gli occhi.