Vicenza moribonda. Come rianimare il centro storico?
Di Alessandro Cammarano
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È brutto, lo so, dire in continuazione che “gli altri lo fanno meglio”, però, purtroppo, sempre più spesso è così e ne ho potuto fare esperienza durante lo scorso fine settimana passeggiando per il centro storico di Como, che per inciso è una delle cinque città più tristi della galassia – non a caso Manzoni ambienta i Promessi sposi sull’altro ramo del Lario, ovvero quello assai più ridente, e dove “succedono cose”, di Lecco – ho constatato di persona, e con certo qual stupore, che non esistono negozi sfitti o attività cessate.
Addentrandosi nelle strade adiacenti alla Cattedrale si scopre un microcosmo di botteghe tipiche, negozi di abbigliamento di livello medio alto e tutte caratterizzate da connotazioni personalissime oltre a negozi di gastronomia e “delicatessen” davvero assai belli.
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A Vicenza, invece, da svariati anni accade l’esatto contrario, con il centro testimone, colpevolmente muto, della chiusura di un numero impressionante di attività commerciali… e la tendenza che sta trasformando una delle città più eleganti e storicamente significative del Veneto in un panorama sempre più desolato non sembra minimamente arrestarsi, cosicché le strade che un tempo pullulavano di vita e commercio, oggi si trovano a fare i conti con serrande abbassate e vetrine vuote.
Le cause di questa corsa alla distruzione del centro vi sono una serie di problemi strutturali e sistemici che vale la pena di analizzare, a cominciare dal costo proibitivo degli affitti.
I piccoli negozi, spesso a gestione familiare, non riescono più a reggere la pressione economica perché i canoni di locazione dei locali commerciali in centro sono saliti a livelli insostenibili, con richieste che possono superare i 4.000-5.000 euro al mese per spazi di dimensioni medie, rendendo impossibile per molti imprenditori rimanere competitivi.
A questi costi vanno poi sommati le bollette energetiche elevate, gli stipendi del personale, la manutenzione, un minimo di pubblicità e – soprattutto dopo la pandemia – la concorrenza del commercio online.
Solo le grandi catene, con i loro punti vendita in franchising, sono in grado di mantenersi, ma così i centri cittadini, non solo in Italia, finiscono per somigliarsi gli uni agli altri in un gioco di omologazione perversa e tristissima.
Altra considerazione dolente: la chiusura di un negozio non è solo una perdita per l’imprenditore, ma innesca un effetto domino sull’intero tessuto urbano. Ogni serranda abbassata riduce il flusso di persone in centro, con un impatto diretto su bar, ristoranti e altre attività commerciali circostanti: il risultato è un centro che rischia di perdere la propria vitalità, trasformandosi da luogo di aggregazione a spazio sempre più desertificato.
A farne le spese non sono solo i commercianti, ma anche i cittadini e i turisti, che si trovano di fronte a un’offerta ridotta e a un’esperienza meno attrattiva, e per una città come Vicenza, che basa una parte significativa della propria economia sul turismo culturale, la situazione rappresenta un problema grave.
Non secondario il problema della sicurezza: all’imbrunire le strade del centro sono preda, soprattutto in alcune zone specifiche, di piccoli delinquenti – il fenomeno delle baby gang, degli spacciatori, degli scippatori e dei ladri è in tragico aumento – che minacciano e depredano passanti e commercianti. I vigili fanno quel che possono, ma l’ordine pubblico deve essere assicurato dalle forze di polizia le quali non hanno al momento un organico sufficiente per garantire i cittadini, anche se in questi giorni dovrebbero arrivare in Questura una trentina di agenti a dar manforte a colleghi molto spesso vicini alla pensione.
Tornando agli affitti ingestibili per le piccole realtà è il ruolo giocato dai grandi proprietari immobiliari.
Molti degli spazi commerciali del centro sono infatti in mano a pochi soggetti – a Vicenza un gruppo di famiglie che si conta sulle dita di una mano – in grado di esercitare un fortissimo potere contrattuale. Questi proprietari tendono – a mio avviso dissennatamente – a mantenere gli affitti a livelli molto alti, preferendo lasciare i locali vuoti piuttosto che abbassare le richieste per venire incontro alle esigenze dei piccoli imprenditori.
Questa rigidità, pur comprensibile (ma anche no) da un punto di vista economico, contribuisce al degrado del centro storico e finisce per diventare il classico cane che si morde la coda, perché locali vuoti e trascurati abbassano il valore percepito dell’area e scoraggiano ulteriormente nuovi investimenti.
Vale la pena di soffermarsi su alcuni casi recenti che nel cuore di Vicenza offrono un’idea chiara del problema: è ai suoi ultimi giorni di apertura De Bernardini, ovvero il tempio dei giocattoli da sempre in Piazza delle Erbe; i titolari storici non riescono più a far fronte alle spese e dunque si chiude, privando la città di uno dei suoi luoghi dell’anima, non solo per i bimbi ma anche per gli appassionati di modellismo.
Lo stesso destino toccherà a breve ad un altro caposaldo del commercio di qualità a Vicenza ovvero Mampreso, che dagli anni Cinquanta del secolo scorso è stata la risposta berica al lusso elegante dei negozi londinesi di Savile Road, con le vetrine su Piazza dei Signori e Contrà del Monte a rifulgere di tessuti di alta gamma, accessori ricercati e soprattutto una fantastica competenza nel proporre.
Per invertire la rotta, sarebbe necessario un intervento coordinato tra amministrazione comunale, associazioni di categoria e proprietari immobiliari.
Tra le possibili soluzioni quella già in vigore, delle agevolazioni del Comune per i proprietari che decidono di abbassare gli affitti, rendendo più conveniente mantenere i locali occupati piuttosto che lasciarli vuoti. Però, visto l’andazzo monopolistico, mi sentirei di ribaltare il discorso e dunque invece di favorire chi affitta introdurrei una maggiorazione delle aliquote per chi non affitta. Impopolare? Forse, ma toccare il portafogli talvolta porta buoni risultati.
Ci pensi, Signor Sindaco, e ricordiamoci tutti che il centro storico di Vicenza rappresenta un patrimonio unico, non solo dal punto di vista architettonico ma anche come spazio di aggregazione sociale e culturale.
Salvaguardarlo significa preservare l’identità stessa della città e tuttavia, senza interventi mirati e una visione strategica, il rischio è che il cuore pulsante di Vicenza si trasformi sempre più in un deserto urbano, dove le vetrine vuote e le serrande abbassate diventano l’emblema di un fallimento collettivo.