27 Novembre 2023 - 8.34

Wilders, il “Mozart” anti-islam che ha terremotato l’Olanda

Chi ha molte primavere sulle spalle ha potuto vivere in prima persona come è cambiata la politica negli ultimi decenni.

L’aspetto di evidente sta nel fatto che nella cosiddetta Prima Repubblica, per intenderci il sistema politico che resse l’Italia dal 1946 al 1994, gli attori veri erano i Partiti.

Certo contavano molto anche i leader, dai Togliatti ai Moro ai Craxi ai La Malfa, ma c’erano anche le correnti (di per sé non un male, se viste come portatrici di visioni particolari), ed i Capi erano comunque soggetti agli umori dei Congressi, che era solo un modo più elegante per non dire i “numeri”. 

Dopo tangentopoli, che scardinò il vecchio ordine, sulla scia dell’avvento di Silvio Berlusconi il sistema andò consolidandosi sulla contrapposizione fra due schieramenti opposti, centro-destra e centro-sinistra, ma soprattutto determinando una leaderizzazione spinta delle Forze politiche (per Forza Italia si parlava apertamente del “Partito azienda” di Berlusconi)  

Questo fu il cambiamento più evidente introdotto dalla Seconda Repubblica, la progressiva affermazione di un “Capo” come guida di riferimento di un Partito o movimento politico, che impone la sua linea di fatto senza opposizione interna.

Scherzando un po’, ma non troppo, a volte si ha l’impressione di assistere ad uno scontro non fra “titani”, ma fra tanti Cetto La Qualunque.

Non so se quella che stiamo vivendo sia l’inizio di una Terza Repubblica, e credo sia difficile dirlo per chiunque.

Quel che è certo è che questo processo di verticizzazione dei Partiti si è diffuso un po’ in tutta Europa, tanto che ovunque Forze politiche e Movimenti vengono ormai identificati solo con il nome del loro Capo.

Dite la verita!  Per fare un esempio, se vi riferite all’ Ungheria, sicuramente parlerete di Victor Orbàn, perché quasi sicuramente nemmeno vi è noto che il suo Partito si chiama Fidesz.

E analogamente, per identificare la destra francese, sicuramente vi riferirete a Marine Le Pen, tralasciando che il Movimento da lei guidato si chiama Rassemblement National. 

Alla fine della fiera raccontare la politica è diventato quasi un lavoro da biografo, in quanto si è obbligati a parlare solo delle “gesta” dei singoli Capi-partito.

Non meraviglia quindi se, riferendomi alle elezioni politiche olandesi, che si sono tenute lo scorso mercoledì 22 novembre, mi limito a dire che sono state vinte da Geert Wilders. 

Solo che Wilders, soprannominato “Mozart” per la sua chioma platinata, non è solo uno dei tanti politici olandesi, ma uno in grado di sparigliare le carte a tal punto che la sua affermazione sta suscitando più di qualche preoccupazione in Europa.

Perché?

In ossequio al principio della personalizzazione della politica, si deve per forza tracciare una breve biografia.

Classe 1963, nasce da padre olandese e madre indonesiana (quindi non potrebbe vantare neppure una “limpieza de sangre” olandese)  a Venlo, vicino al confine tedesco,  e cresce seguendo i precetti della religione cattolica. 

Entrato in politica poco più che ventenne tra le fila dei liberali di destra del VVD, lo stesso partito del premier  uscente Mark Rutte e della leader di origini curde Dilan Yesilgoz con la quale ora vorrebbe trovare un accordo per governare, nel 2004  Winders decise di abbandonare il VVD da posizioni xenofobe, a causa di quella che considerava una politica  troppo accondiscendente nei confronti dell’Islam e dell’immigrazione.

Fonda quindi ex novo un suo partito, Partito per la Libertà (PVV), diventando l’incubo dei musulmani, ed uno spauracchio per Bruxelles, in quanto propugnatore dell’uscita dei Paesi Bassi dalla Unione Europea, sulla scia di quanto fatto dai vicini inglesi.

Diventa così un punto di riferimento dei sovranisti e delle forze dell’ultra destra europea (in Italia il suo alleato è Matteo Salvini, ed in Francia Marine Le Pen).  

Non ha mai nascosto né la sua amicizia con Vladimir Putin, né il suo aperto sostegno a Donald Trump. 

E’ passato agli onori delle cronache per aver promesso, fra l’altro, di cacciare dall’Olanda la “feccia marocchina”, e di mettere al bando il Corano. 

Bene o male Winders negli anni scorsi ha vivacchiato, e la sua stella sembrava offuscata dalla politica di stabilità realizzata negli ultimi anni da Mark Rutte.

Ma l’uomo è tosto, ed ha continuato imperterrito per 15 anni a portare avanti la sua visione politica, in un dibattito che anche in Olanda si è via via sempre più concentrato sul problema migratorio, fino all’expoit di mercoledì scorso.

Con un risultato non previsto dai sondaggi in queste dimensioni, e che è andato ben oltre le più rosee aspettative della vigilia.

In poche parole l’ultra destra di Gert Wilders è ora la prima forza politica nei Paesi Bassi, avendo il suo PVV ottenuto il 23,8% dei consensi e conquistato 37 seggi.

Per avere un termine di paragone, a grande distanza troviamo  la lista dei Laburisti-Verdi dell’ex vicepresidente della Commissione Ue Timmermans, con 25 seggi (15,6%), seguiti dai i liberali di destra del premier uscente Rutte (24 seggi, 15,2%). Al quarto posto l’ex democristiano Pieter Omtzigt,  che con il suo nuovo partito fondato in agosto, il Nuovo Contratto Sociale (NSC), ha incassato il 13% dei voti e 20 seggi. 

Non ha invece bissato il travolgente successo delle elezioni del 2021 il Partito dei Contadini BBB, anch’esso su posizioni anti-immigrati, che ha ottenuto solo 7 seggi. 

Dovendo fare una breve sintesi del risultato elettorale,  credo si possa dire che c’è stata una evidente punizione da parte degli olandesi ai tre partiti della sinistra, con un netto spostamento a destra, anche estrema, senza ogni ombra di dubbio dovuto alle preoccupazioni in tema di immigrazione.

E adesso?

In Olanda non è tradizionalmente facile fare un Governo, e l’ultima volta Mark Rutte ci mise ben 299 giorni.

I prodromi che il brodo possa essere lungo anche questa volta ci sarebbero tutti, ma in politica….. mai dire  mai.  

Sicuramente non sarà facile per Wilders trovare in Parlamento alleati per un suo Governo (per avere la maggioranza servono 76 voti a favore) anche se, dopo la vittoria, si è premunito di dichiarare “Se diventassi premier, lo sarei di tutti gli olandesi, indipendentemente dalla loro religione, preferenza sessuale, colore di pelle, genere o altro”.

Ha comunque confermato di voler “garantire che lo tsunami di richiedenti asilo e immigrazione si riduca”, in risposta alle speranze dei cittadini “di recuperare il proprio Paese”.

Resta il fatto che la nuova mappa politica  che esce dalle elezioni avrà  senza dubbio un impatto determinante sulle politiche dell’Olanda in materia di immigrazione, di lotta ai cambiamenti climatici, in chiave restrittiva, e forse è destinata anche a ridimensionare il posto del Paese nell’Unione Europea.

Per quanto riguarda i battimani provenienti dall’Italia, mi limito ad osservare che Matteo Salvini dovrebbe ricordarsi che Wilders, da buon sovranista qual’è, ha più volte espresso posizioni italofobe (sui social nel 2020 scrisse che “gli italiani difficilmente pagano le tasse”), come quando in occasione dell’approvazione del Next Generation EU, il nostro “Mozart” manifestava con un cartello appeso al collo nel quale c’era scritto ‘nessun centesimo per l’Italia”. 

Chiudo ribadendo che, come sto scrivendo da tempo, il tema immigrazione sarà “il tema dei temi” delle prossime europee di giugno, e se le sinistre non cambieranno registro rispetto alle politiche delle “porte aperte”, si troveranno a leccarsi le ferite e a contare i voti persi.

Domani continuerò a ragionare sul tema migratorio, perché si sta dimostrando che lo stesso può essere usato da certi regimi come arma di guerra ibrida.

Umberto Baldo

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